Fabri Fibra è tornato. D’emblée, come fanno quelli veri, tipo Tupac o Kendrick, e risorge a Pasqua, come Gesù Cristo, per scomodarne un altro bravo.

Il primo – primissimo – approccio a questo album è stato tanto positivo quanto illusiorio. Parlo del titolo stesso, Squallor. Talmente brutto da lasciar intravedere autoironia. Magari non ci si prenderà troppo sul serio, magari Fabri Fibra tornerà quello prima degli Applausi. Certo, non il migliore degli auspici, ma quantomeno una premessa di autenticità. Anche il titolo stesso della opener alimentava il presagio: Troie in Porsche. Tutto perfetto. Poi:

“Un tiro prima di iniziare, anche due”

E’ già tutto finito. Via ai primi 4 minuti di fuoco: rime che non sono rime, flow da mal di mare, machismo stucchevole, vanagloriose premesse: “ho così tante cose da dire che non respiro”. E poi in un lampo Fabri inizia ad affilare la sua arma, quella che lo ha elevato nell’Olimpo dell’hip hop nazional-popolare: il populismo più becero. Lasciato il sepolcro, si incensa come cantore unico e totale della società: il Messia tornato fra noi mortali deciso a mettere a nudo ogni ingiustizia ed ipocrisia del nostro vivere. Quello che ne risulta può essere sostanzialmente riassunto in un verso: “la vita è una puttana che paghiamo ai politici”. Le coscienze già si sentono solleticate, aizzate, per poi venire definitivamente sconvolte da una rappresentazione di Milano che manco fosse Saigon nel 75. “E tu ci convivi”. Già. Ma se tutto questo era già stato messo in conto come piatto forte della casa, l’elemento che forse di più riesce a dare l’idea della dimensione di questo album è la lunga serie di dissing a più riprese, il più aspro dei quali rivolto a Fedez (reo di aver sminuito la sua arte con un estemporaneo commento ad X-Factor), riuscendo a far crollare anche l’ultimo dei paradigmi: la credenza comune che l’unico over 18 a cui importi qualcosa di quello che dice Fedez sia Gasparri. Si aggiunge però un lieto auspicio:

ho fatto il dissing con Vacca e tutti dicevano ‘è troppo’ / Ci siamo messi in gioco al contrario del mondo del pop”

Dunque, non ho ben chiaro dove voglia andare a parare, ma se al prossimo Sanremo Nek dovesse dissare Raf quadruplicate pure il voto che vedete in alto a destra e impiccatemi.

A contorno una serie di tracce che principalmente servono a dimostrarci che casa non fa rima con cassa e che edifici non fa rima con difficile (A casa), un dispetto a Niggas in Paris (Alieno), riferimenti cinematografici tanto per, e svariate collaborazioni, alcune buone, alcune tremende: prima Gel nella strofa finale di A Volte (godetevela!), poi Lucariello, protagonista nel verso “allor ce scannam pe na squadr e pallon intanto l’Italia se squaglia ‘nt’sto squallore” in Pablo Escobar. Quelli buoni, Clementino e Salmo, contribuiscono nelle due tracce riuscite dell’album (che, ricordiamolo, ne contiene 21), ovvero E.U.R.O e Dexter, dove vengono proposti gli unici spunti di riflessione interessanti a riguardo del come fama e denaro corrompano l’integrità dell’artista. Categoria a parte per Marracash, non pago della sua ultima fatica, che si scaglia contro Lino Banfi in Playboy.

Voglio Sapere è la combo finale di Fibrazio, la 619 del populismo. Poi l’album si chiude.

Hallelujah.

Traccia consigliata: Voglio sapere.