È stato assai difficile comprendere il sophomore della band londinese degli Echo Lake. Nel 2012, prima della pubblicazione del loro debutto Wild Peace, la tragica e prematura morte del loro batterista Pete Hayes aveva ridotto il trio inglese ad un duo e sembrava che gli Echo Lake dovessero lasciare i palcoscenici musicali; ecco però che un susseguirsi di voci fin da metà 2014 aveva fatto riemergere dall’oscurità la speranza di nuove pubblicazioni. Avendo la consapevolezza che il motore pulsante che contraddistinse il primo lavoro non c’era più e partendo, dunque, prevenuto, ascolto Era.

La prima cosa che salta all’occhio è la riduzione delle tracce e la conseguente dilatazione del minutaggio. La forte presenza della tipica “forma canzone” del primo disco lascia qui spazio fin da subito ad una psichedelia mantrica (Light Sleeper); la maggior parte delle restanti tracce, invece, continuano il percorso iniziato in Wild Peace. Il tempo non sembra aver intaccato la loro tipica sonorità liquida, pervasa da echi e riverberi e sebbene la drum machine meccanizzi i pezzi, questi vengono contemporaneamente riscaldati da una chitarra più aggressiva del solito, che si intreccia alla perfezione con le sempre presenti tastiere; c’è dunque spazio per dei momenti di puro shoegaze che emergono dai loro tipici tumulti dreampop.

Se la maggior parte del tempo sentiamo una copia sputata del loro debut, ci sono comunque delle piacevoli evoluzioni stilistiche e musicali: la drum machine ci trasporta nei suoi momenti più ossessivi a toccare lo spacepop più kraut, creando dei quadri astratti che si potrebbero prolungare all’infinito. Il ritmo madchester della già citata Dröm, porta il gruppo ad un livello mai sperimentato prima, mentre i 10 minuti della conclusiva Heavy Dreaming si evolvono in ondate che paiono non giungere da nessuna parte, forti di un’ispirazione vicinissima agli Spacemen 3.

Tracce consigliate: Light SleeperDröm