Il progetto Ducktails di Matt Mondanile, chitarrista dei Real Estate, soprattutto nelle ultime uscite mi è suonato come “i Real Estate fatti in tie dye”, come le vecchie magliette da hippie. Il tocco melodico riconoscibile, la struttura che torna, ma tutto più colorato, volutamente psichedelico, anche un po’ disadattato a suo modo.

Lo diciamo da subito, St. Catherine non è un disco che ci porteremo nella tomba, non contiene pezzi indimenticabili che ci faranno scendere la lacrimuccia quando ritroveremo il vinile tra 40 anni; eppure questa sua caducità può esaltarne l’aspetto immediato, rendendolo un album ottimo per un ascolto mattutino tranquillo: il riverbero nella voce di Mondanile è dolce e lento, i ritmi compassati. Andando più in là con l’iperbole, si potrebbe quasi rivalutare con dischi come St. Catherine l’idea stessa di “entrare in un orecchio e uscire dall’altro”, si potrebbe dire che è carino che un disco passi e non resti se il passaggio è stato così piacevole – d’altronde abbiamo un sacco di altre cose a cui pensare, un sacco di altri dischi di cui ricordarci no?

Già l’introduzione dei primi due pezzi (The Disney Afternoon e Headbanging In The Mirror – tra l’altro gran bei titoli) ci immette come un ovattato corridoio nel disco e davvero non ci va di andar via, quindi continuiamo ad ascoltare interessati. Sottolineare questo punto è importante perché con questo genere musicale – questo indie o jangle pop un po’ psichedelico – è facile cadere nel melenso. Fortunatamente mr. Mondanile si porta dietro dai Real Estate oltre all’estrema riconoscibilità nel tocco anche il senso della misura. L’altra faccia della medaglia è che il disco perde un po’ di tiro verso la sua seconda metà, con Curches e Medieval che seccano un po’ – ma con gioia ci si aggrappa al gran finale di due strumentali, Krumme Lanke e Reprise. Alcune tracce possono sembrare delle vere e proprie b-side dei Real Estate, come Surreal Exposure che fortunatamente si stacca negli arrangiamenti e nel finale divertentino con quel finto clavicembalo.

Come il gruppo parente cugino fratello Real Estate, anche il suono dei Ducktails è già riconoscibile di suo; nell’ultima prova di entrambi (Atlas per quelli, St. Catherine qui) il sound si istituzionalizza, si plastifica un pochino, ottenendo un effetto diverso sui due progetti musicali. Mentre in Atlas l’essere plasticosi e compatti funziona e fa brillare un po’ di più l’oggetto nuovo (che possa poi piacere o no la deriva meno lo-fi dei Real Estate, non si può negare la presenza di una direzione sonora), con i Ducktails e la loro tentata fantasiosa psichedelia ipnagogica il contenimento nelle forme e nei suoni più legati e compatti è un pelino controproducente. Non per niente i pezzi migliori sono quelli più strumentali e meno vicini a forme, refrain e quant’altro; unicamente strumentale è Krumme Lanke, un gioiellino di canzone, la più riuscita, con le sue dissonanze gustose e la sua batteria arrogantella ogni tanto.

Insomma St. Catherine è un disco piacevole, senza particolari guizzi compositivi, che può gentilmente accompagnare una giornata un po’ pigra, senza strafare e senza scadere, ma anche senza eccessive lodi.

Tracce consigliate: Surreal Exposure, Krumme Lanke