Eccoci ad una nuova puntata delle mie recensioni sullo stile “questa band suona come”. Oggi oggetto delle mie metafore sono i Disclosure, duo ormai chiacchieratissimo composto da due fratelli bellocci inglesi Guy (classe 91) e Howard  Lawrence (classe 94 addiritura).

Sono partiti nella scena Uk della garage e della deep house e in relativamente poco tempo con l’aumentare delle release, hanno aumentato anche il loro successo. Successo che in maniera semplice sta tutto in quei bassi e synth gommosi fighissimi (che si fanno così credo) diventati loro trademark imprescindibile.

Hanno ormai ricoperto il ruolo di Democrazia Cristiana della musica elettronica. Riescono a farsi piacere da tutti. Dallo zarro, assiduo frequentatore delle serate young e non del Cocoricò al ragazzo indi appassionato di Jersey Shore perché interessante fenomeno di descrizione sociologico dell’uomo nella società post-moderna.

Ma oltre a ciò i Disclosure avevano attirato interesse sincero tra appassionati della UK Garage. Il Carnival EP  conteneva pezzi interessanti che mostrano anche se in piccole dosi il processo compositivo dei pezzi. Stesso discorso per Tenderly/Flow, arrivati all’EP The Face, lo stile e l’evoluzione del duo s’è confermato e fermato. Infatti creato un sound riconoscibilissimo e trovati gli giusti stratagemmi per far funzionare i pezzi, si sono sentiti pronti a rilasciare il loro primo full-lenght.

Ed eccolo l’attesissimo Settle. Personalmente ho trovato difficoltà nel riuscire ad ascoltare tutto l’album in una tirata. Dall’ultimo pezzo anticipatore dell’album When A Fire Start To Burn a Latch e poi F for You, diventa impegnativo proseguire poiché ti sembrano quasi pezzi simili. Tre bei probabili singoletti. Ripetendosi ossessivamente strutture e sound, ci si deve fermare un attimo. 5 minuti. Si riposano le orecchie e si continua. O la colpa è solo mia ed è di non essere un clubber accanito o realmente Settle si presenta come un insieme di bei singoli radiofonici tutti costruiti sul marchio Disclosure. 

Marchio che dopo Latch si è sempre specchiato e detto “cazzo quanto sono bello”. Vista la difficoltà a digerire l’opera omnia, vi dico che i pezzi migliori sono quelli che hanno anticipato l’album come White Noise con il riuscitissimo featuring con AlunaGeorge. Interessante l’esperimento di Friendly Fires clubberissimi (Ed McFarlane) in Defeated No More. Ma oltre il primo interesse nel sentire le tante collaborazioni del disco come Jamie Woon, Jessie Ware e London Grammar (scoperti da noi) e tanti altri ci si imbatte sempre nella stessa ballabilissima (purtroppo) solfa.

La cosa sicura è che se uno dei pezzi capitasse in un club farebbe subito agitare tutti (a meno non siate in queste condizioni). Dal punto di vista musicale non molto altro da dire.
Insomma questa è l’elettronica delle larghe intese del 2k13.

Tracce consigliate: White Noise feat. AlunaGeorge