In seguito a questo lungo percorso, al terzo disco i DIIV hanno fatto in modo di poter toccare il terreno con i propri piedi, lontani adesso dagli alti suoni delle chitarre echeggianti dei primi due dischi.

Zachary Smith e compagni si sono decisi a lasciare da parte i pensieri sognanti di giorni troppo fuori dal mondo e riprendere ora visione di ciò che gli accade intorno. Significativamente un lavoro molto più di Smith che degli altri componenti, il terzo disco della band è fatto per colpire sin da subito con la propria triste sincerità, finalmente primo ragionamento in totale lucidità, cacciato una volta per tutte l’abuso di eroina, e dopo il mezzo passo falso del sophomore Is The Is Are, rivelato essersi un pentimento preso non troppo sul serio.

Sarà, per qualche assurdo motivo, l’aver abbandonato New York per Los Angeles, l’arrivo di un matrimonio o le giuste compagnie ad averlo probabilmente portato nel giusto stato per capire i propri errori; il leader della band sembra aver compreso il dolore che ha causato a chi gli è stato vicino nel tempo (Horsehead, Taker), in un modo più greve di Is There Is Are, narrato ora con una certa maestria descrittiva e stavolta più reale.  Saltano ora alla mente i momenti post rehab e la malinconia dei video lo-fi delle cover di Icehead Cow, pubblicati durante i giorni post riabilitazione, carichi di un enomre tristezza. Come le sonorità di queste incredibili reinterpretazioni, alcuni brani di questo terzo disco riportano l’attitudine lo-fi rock distorta di (Sandy) Alex G e Sparklehorse (Between Tides) accomunata all’essenza pop sempre presente nei dischi della band, per la prima vota sotto chiave shoegaze.

È questa tanto acclamata produzione di Sonny Diperri, stesso produttore di My Bloody Valentine e Promatyr tra tanti, che dovrebbe aver portato alla sperimentazione con il genere con cui la band è sempre stata accomunata per tanto tempo? Sicuro l’influenza di Questo ha aggevolato la direzione artistica voluta intraprendere dal leader della band e il bassista Colin Caufield, principali scrittori del disco, e sempre stati desiderosi di voler intraprendere questa direzione.

Se a momenti ci si può crogiolare tra classici ambienti pop nelle più orecchiabili The Spark (la più attinente alle prime sonorità dream pop) e i singoli  Skin Game Blankenship, ci si ovatta l’udito quando a suonare sono la bellissima e malinconica Like Before You Were Born, perfetta melodia tra , l’inno alle distorsioni intitolato Lorelei (classificabile come tra le più interessanti evoluzioni nel suono del disco), e l’incredibile tuffo nel passato tra le chitarre di For The Guilty, la produzione più completa e bella della band.

La realtà che la band è riuscita a creare adesso è palpabile e il rispetto che bisogna portare verso una figura come Smith dovrà, da questa parte, essere immenso, perchè il sound dei DIIV adesso rieccheggia significando maturità in tutti i modi e non soltando regalandoci un disco dalle immense chitarre.

Tracce consigliate: Between Tides, For The Guilty