I Depeche Mode, dopo quattro anni dal deludente Sounds Of The Universe, non potevano scegliere un titolo più appropriato per il loro ritorno: Delta Machine, oltre ad avere le iniziali in comune col monicker della band, è il punto d’incontro tra il remoto e sanguigno delta blues dei neri d’america e le più “fredde” e recenti (relativamente, s’intende…) macchine su cui fa affidamento la musica elettronica, che i ragazzi di Basildon, UK hanno trasformato, con esiti straordinari, in Music For The Masses.

La mente principale dei DM, Martin Gore, a proposito del disco ha dichiarato: “Scrivere questo disco è stato particolarmente incoraggiante, dato che volevo un suono molto moderno. Volevo che la gente si sentisse bene ascoltandolo, che trovasse una certa pace. C’è stato qualcosa di veramente magico in questo.” 

Quanto detto è solo parzialmente riscontrabile in Delta Machine, che effettivamente suona abbastanza moderno (gran merito alla produzione di Ben Hillier, con cui la band probabilmente concluderà a breve la collaborazione, durata otto anni e tre dischi) ma non ha nulla di pacifico: al contrario, ostenta tinte dark ed atmosfere inquiete che richiamano il celeberrimo Songs Of Faith And Devotion del 1993.

Il dissidio interiore non ha mai abbandonato la band ed i suoi componenti, ed anche in questo lavoro non mancano passaggi ricchi di quella profondità spiritual-religiosa che, complice la solennità vocale di Dave Gahan, ha portato alla luce perle come Personal Jesus: basti citare l’opener Welcome To My World o la bella Slow.

Come prima ho già accennato, Delta Machine è l’album più spiccatamente blues della carriera della band britannica, tanto da portarne i segni nelle strutture della quasi totalità delle sue tracce, Slow, Soothe My Soul e Goodbye su tutte.

C’è tempo anche per piacevoli fuori programma, che hanno il pregio di unire le peculiarità del sound classico dei DM con sonorità più moderne: esemplare è la “yorkeana” My Little Universe, ma non sono da sottovalutare la dinamica Secret To The End ed il singolo Heaven, pezzo intriso di elementi trip-hop novantini, che riporta alla mente l’album Ultra datato 1997.

Se la recensione terminasse qui, si potrebbe parlare di capolavoro; tuttavia l’ultima fatica di Gahan e compagni non è un locus amoenus musicale: in primis, pesa la mancanza di pezzi davvero memorabili, di quelli che, in trent’anni di Depeche Mode, sono riusciti ad infiammare gli stadi di mezzo mondo (nonostante The Child Inside e soprattutto Soothe My Soul ci si avvicinino molto). Infine, è facile scorgere una monotonia complessiva che può annoiare alla lunga l’ascoltatore.

Queste pecche veniali (ma non troppo) non compromettono però del tutto la riuscita di questo Delta Machine, che si impone come uno dei migliori dischi pubblicati dai Mode nel Terzo Millennio, a ritmo di blues.

Tracce consigliate: Soothe My Soul