Quando fai musica e non ti conosce nessuno non hai molte alternative. Puoi, ad esempio, puntare tutto sul web marketing, sugli ascolti e le playlist di Spotify; oppure puoi fregartene ed andare in studio a fare un lavoro come Auto-Pain: sophomore album dei Deeper, trio underground di Chicago in rapida ascesa, al momento ancora non così noto. Un solo album alle spalle, il supporto ai Rolling Blackouts Coastal Fever e poco più.

Il prologo di questo nostro racconto, però, è tragico. Il trio, infatti, solo pochi mesi fa era un quartetto, composto anche dal chitarrista Mike Clawson, travolto dalla “Cosa Brutta” e tragicamente suicidatosi proprio durante le registrazioni dell’album. Un dramma all’interno di un progetto artistico che dentro il dramma ci vuole vivere. L’amara ironia della sorte.

Auto-Pain è un concept album che si ispira al romanzo Il Mondo Nuovo (1932) di Aldous Huxley, uno dei padri fondatori della narrativa distopica, precursore di un genere che vedrà tra i migliori esponenti autori del calibro di George Orwell. Nel romanzo c’è una pillola che si chiama Soma (la stessa degli Smashing Pumpkins di Siamese Dream) che fa parte di un più ampio disegno governativo finalizzato alla manipolazione della masse. Una pillola che annebbia la mente e che, soprattutto, non fa soffrire. Un meccanismo di condizionamento per rendere la popolazione sempre felice. Di fatto, una specie di evoluzione del pensiero epicureo secondo cui la felicità è assenza di dolore.

Ed è qui che a rompere l’incantesimo intervengono i Deeper che, invece, vogliono vederci chiaro e sentirsi ancora vivi. Riecheggiano, in questo senso, le parole di Franco Battiato che nel suo debut album Fetus (ispirato anch’esso al romanzo di Huxley) cantava:

Meccanici i miei occhi
Di plastica il mio cuore
Meccanico il cervello
Sintetico il sapore.

Così come ha fatto Battiato 50 anni fa, anche i Deeper arrivano dritti al punctum dolens della faccenda, ma a differenza del Maestro tralasciano l’eugenetica e l’elettronica pura per un percorso che dal punto di vista narrativo si fonda sulla connessione lucida io/emozioni, mentre per quello stilistico utilizza il goth-post-punk come propulsore, pescando qua e là tra Joy Division e Television. E soprattutto dai Cure ’79-’81. Ma senza puzzare di vecchio. Tutto viene contrapposto alla realtà culturale e sociale attuale, anche attraverso l’introduzione dei synth e sequencer malsani (vedi Warm) ed il richiamo a Protomartyr ed affini.

Il disco, quindi, è un disco di ribellione. Così come gli IDLES si sono ribellati al machismo, alla xenofobia ed alle disuguaglianze sociali; i Deeper si ribellano all’atarassia ed all’indifferenza della società moderna. Prendi Lake Song che tratta delle malattie mentali e dell’impegno nel prendersi cura di chi ne soffre. Nic Gohl canta: What’s the point of living this life? ‘Cause you’re sheltered in the walls that are caving in e ripete ossessivamente I just want you to feel sick per esorcizzare la paura di non essere in grado di essere presente per chi ha bisogno. O le ritmiche serrate di The Knife che spinge ad andare oltre la routine senza rischi della nostra quotidianità. Momento clou dell’album che travolge con una batteria frastagliata e quell’Effortless is what? a metà tra angoscia e liberazione.

Per tutte le 12 tracce dell’album si sente l’urgenza di comunicare. Linee di basso asciutte, percussioni pesanti ed avvolgenti e chitarre luminose a contrastare il senso di oppressione totale e disumanizzante. Ma è una luce fredda e senza anima, come il grigio del “Centro di incubazione e di condizionamento” de Il Mondo Nuovo dove vengono manipolati e selezionati gli embrioni per la creazione delle classi sociali. E poi la voce molto Robert Smith di Gohl, a tratti distaccato a tratti in preda ad una crisi di panico. Gelo risponde a gelo, citando Huxley stesso.

Temi di fondo che compaiono e scompaiono dalle tracce come un disobbediente che vuole infrangere le regole nascondendosi tra palazzi di un mondo in rovina: correre, scappare (Spray Paint, Run). Il demonio; l’inferno sulla terra. Ma più di tutti sorpassare il confine (This Heat, The Knife). Tutto tende, infatti, alla piena coscienza del mondo che ci circonda ed alla necessità di guardarlo in faccia, ma più ci si avvicina alle risposte più la visione è distorta e le gambe cedono e ti senti stanco, ma non puoi correre, né rivitalizzarti. E così torna l’ossessione dei pensieri di This Heat mentre la vita ti porta sull’orlo del tuo punto di ebollizione:

So Sick
So sick
I’ve been bound
I’ve been buried
Because
You’re crossing a line

Con Auto-Pain, I Deeper scavano nella profondità del buio senza aver paura delle conseguenze. Non combattono l’oscurità, ma cercano di darle un significato dall’interno, spingendoti a pensare in modo diverso, a cambiare il modo di percepire ed elaborare la mortalità e le sofferenze. Un album affascinante ed al tempo stesso inquietante, come la fotografia della terra messa accanto a quella dell’universo conosciuto. Quella cosa del “You’re here” che ti fa sentire piccolo ed insignificante, ma con la quale devi imparare a convivere per non perdere un parte di te.

Tracce consigliate: Lake Song, The Knife, V.M.C.