Screen Violence è come rivedere la tua cotta del liceo dopo dieci anni.

Che i Chvrches siano una “band” (se così si può ancora definire un progetto in cui uno dei componenti mette completamente in ombra gli altri due) in declino è cosa ovvia, e questo quarto disco non fa altro che continuare il discorso sempre più piatto accennato in Every Other Eye e concretizzato in Love Is Dead: ai Chvrches piace fare musica pop senza pretese, senza mordente, molto edgy e pure un po’ ruffiana.

Verrebbe da dire che è un peccato, ripensando al validissimo The Bones of What You Believe, ma a distanza di quasi dieci anni, al netto di tutto, anche quel disco che sembrava alfiere di un nuovo elettropop scricchiola sotto il peso del tempo. Proprio come la cotta delle superiori, infatti, dispiace rivederla con le rughe, ingrassata. Dispiace scoprire quanto sia diventata (o sempre stata?) acida. Dispiace scoprire che la voce che sognavamo ogni notte è in realtà insopportabile. Dispiace, ma allo stesso tempo ci fa sorridere.
Noi, alla fine, siamo cresciuti. Loro forse no.

Mai come in questo Screen Violence, Lauren Mayberry è poco ispirata nello scrivere testi, che poi alla fine parlano della stessa cosa da We Sink in avanti. La maggior parte dei pezzi è un po’ tutta uguale e potrebbe uscire dalla colonna sonora di un clone brutto di Drive. Per tutto il disco ci accompagna un senso di già sentito che invecchia in fretta il disco, che sembra infatti già più vecchio di tutto il resto della discografia del gruppo. Final Girl, California e How Not To Drown (dove Robert Smith compare per fare i coretti a Lauren per sottolineare quanto sia dark e sofferto questo disco) sono filler che si lasciano dimenticare appena si cambia canzone. Good Girls, poi, è l’apoteosi di tutto quello che non funziona coi Chvrches, è il rossetto sbavato sui denti di una ragazza che pensavate elegante e raffinata. Fa quasi male.

Fa male soprattutto perché, proprio come nei due dischi precedenti, ci sono dei momenti di questo Screen Violence che fanno venire nostalgia del passato e, forse ancora peggio, ci fanno dare un’occhiata fumosa a cosa avrebbe potuto essere il presente se le cose fossero andate diversamente. Il pezzo centrale di Asking For A Friend, nel suo essere un mescolone di Now Is Not The Time e Clearest Blue, è l’highlight assoluto del disco; Violent Delights, testo aberrante a parte, è una reminescenza di un tempo in cui i Chvrches riuscivano anche a scrivere Science/Visions; nel bene o nel male, Better If You Don’t è un distacco completo non solo dal resto del disco, ma da qualsiasi cosa che la band abbia mai fatto e, sorpresa sorpresa, non è male.

Tutto questo purtroppo non è abbastanza per salvare un disco che si è presentato con quella rottura di coglioni di He Said She Said, ma è qualcosa. È uno sguardo della ragazza di cui sopra che ci fa ricordare perché ci piaceva, perché ci sarebbe potuta piacere anche di più, ma anche perché abbiamo preso strade diverse. Lei non è quella, voi non siete quelli e presto ognuno tornerà alle sue vite, i Chvrches torneranno nel dimenticatoio per tre quattro anni e ogni tanto, forse, riascolterete qualcosa sognando ad occhi aperti cosa sarebbe potuto succedere, per poi tornare alle vostre Let’s Eat Grandma con un sorriso un po’ amaro.

Plot twist post Halloween:Chvrches riescono a farmi incazzare di brutto, quando ci si mettono. Inizialmente avevo appioppato un bel 5.3 a questo disco che, come avete letto sopra, era tendenzialmente deludente. Il gruppo della Mayberry però ha la geniale idea di rilasciare una Director’s Cut di questo Screen Violence, che contiene tre tracce inedite. E, come da buona tradizione della band scozzese, è nei b-side che splendono meglio: proprio come Broken BonesZVVL The Bones of What You Believe erano i pezzi migliori degli arbori della band, inspiegabilmente esclusi dal debutto, Killer, Screaming Bitter End, pur non essendo miracoli, sono più che piacevoli. Cazzo, Killer è con ogni probabilità la miglior cosa fatta dai Chvrches dai tempi di Get Away. Scambiate questi tre pezzi con quelli più criticati sopra e Screen Violence diventa un disco più che discreto, un po’ noiosetto ma comunque scorrevole, a dimostrazione che a volte la bellezza può stare proprio nelle piccole cose, di quanto poco servirebbe alla vostra cotta del liceo per essere la donna della vostra vita. Screen Violence alla fine risica una sufficienza, in corner, anche se non sappiamo più cosa sperare. Magari una scaletta migliore, la prossima volta?

Tracce consigliate: Asking For A Friend, Better If You Don’t, Killer