Il serpente che si morde la coda, la morte nascente, è sempre origine nella circolarità disegnata. Non vi è dualità né tempo. La vita è già stata e tutto è stato visto. Un déjà-vu. Tutto è accaduto e ancora potrà accadere. “Che si chiami eterno ritorno, piuttosto che ciclicità storica, è pur sempre questo un sistema finito, con un tempo infinito, nel quale ogni combinazione può ripetersi infinite volte facendo sempre commuovere i nostalgici.” Queste le ultime parole prima di concludere la recensione di Someday Worldper chi non l’avesse letta -, primo e penultimo album frutto della collaborazione tra Brian Eno e Karl Hyde.
Inossidabili ne presentano un secondo: High Life. L’ermeneutica interpretativa dell’opera irride qualsivoglia credenza escatologica. Le dottrine dei destini finali dell’uomo e dell’universo sembrano non riuscire a irrobustire il già argilloso terreno nel quale ripongono le radici. High Life; è dunque qui tutto racchiuso. In questo vi sono risposte a domande, tempo e spazio. Solo sei brani, registrati in soli cinque giorni e dopo circa due mesi dall’ultimo album, i quali corrispondono a un’idea simbolica di composizione. Presso questa, infatti, si può rintracciare la narrazione di una appassionata tensione interiore che mostra la parabola delle abilità compositive.

Pare, insomma, che questi due uomini abbiano trovato la pietra filosofale, la pietra dei filosofi, e non quella chimica dalle straordinarie virtù. “When Someday World was finished I felt like we were still on a roll and I wasn’t ready to stop working and get into ‘promotional mode’ for that record. So I suggested [Briano Eno] we immediately start on another album, a different one, where we extended some of the ideas we’d started, and attempted some of the ideas we hadn’t.” Che si approfitti, dunque, delle circostanze finché queste sono favorevoli, e non ci si butti a capofitto nello sfavillio dell’aspetto commerciale e promozionale. La grande opera non è opera materiale, e il teorico ne è ben consapevole, ma corrisponde allegoricamente a un’esperienza intima cercata e vissuta mediante una lunga serie di operazioni introspettive. Quindi nuovamente a lavoro con Karl Hyde e Fred Gibson, il coproduttore di Someday World, questa volta scritturato anche come percussionista elettronico. A questi vi si aggiunge Leo Abrahams, uno tra i più alti papaveri della produzione musicale. Di quest’ultimo vanno certamente menzionate le molte collaborazioni con Eno, ma, per rendere meglio l’idea del profilo, si devono ricordare le altrettanto numerose partecipazioni come strumentista negli album studio Opalescent e Contact Note di Jon Hopkins. I tre, Abrahams, Eno e Hopkins, vale la pena aggiungere, insieme nel 2010, hanno prodotto l’album di debutto di Brian Eno per la Warp Records Small Craft On A Milk Sea. Altro presente in studio è Rick Holland; il poeta si è prevalentemente occupato delle strutture sintattiche e testuali fornendo anche idee aggiuntive circa la lirica. Holland è lo stesso nucleo del progetto Drums Between The Bells e poi del paradigma di questo Panic Of Looking, entrambi lavori dello sgobbone e stacanovista Eno, entrambi usciti nel 2011 ed entrambi incentrati sui testi dello scrittore e poeta inglese. In tutto questo, che si dica che High Life è avanzo e ombra di Someday World.

È un tornare High Life, un ritornare presso un crocevia a un tiro di schioppo dal trip-hop, dalla musica ambient e dalla downtempo. Return e Cells & Bells, rispettivamente primo e ultimo brano della raccolta, rappresentano l’archetipo che restituisce voce alla biografia e formazione musicale di Brian Eno scritta dal minimalismo di John Cage e LaMonte Young, entrambi precursori della drone music. Le due tracce è come fossero il vagabondaggio lucido tra i sentieri battuti da No Pussyfooting, primo album da solista di Eno e prodotto del sodalizio con Robert Fripp, cuore dei King Crimson, e Small Craft On A Milk Sea di cui sopra detto. In Return, Hyde meticolosamente cura l’arrangiamento della chitarra con una pennata alternata che rende i fraseggi più concitati e vivaci; i cori, simultaneamente, reggono la voce ritmicamente accordata alla scrittura offrendo a questa dei tratti onirici e irreali. Cells & Bells è la preghiera recitata in un parlato povero e avvolta in suoni statici e trascinati. Tali spezzati estesi, colorati da armonie fitte e dense, provocano un senso immoto e liberante del tempo. Quando le linee delle chitarre di Leo Abrahams e di Hyde, poi, sono sovrapposte in Lilac, la declinazione psichedelica è facilmente raggiunta. La voce continua a seguire, ma in un’espressione più cangiante e modulata rispetto alle diverse incidenze del brano. L’estro funky che sporca la scrittura dell’album rendendola più rude e jazzata è prima manifesto in Time To Waste It, agiatamente cadenzato e per questo arricchito dal groove afrobeat, ma si realizza concretamente in DBF. Questa suona libera da sofisticazioni, inibizioni o reticenze. Un nu jazz disordinato ed entropico combinato con percussioni sincopate, le quali beffano qualunque dosaggio di barbiturici o neurolettici, e linee di chitarre in strutture melodiche che quasi sembrano improvvisate.

Semplice è inciampare nel limite della critica o dello svilimento del lavoro se si considera esso stesso come una riesumazione di rimasugli, ma altrettanto semplice è, una volta presa una posizione simile, immiserire l’intera discografia del “musicista non-musicista” che, dall’esordio con i Roxy Music, mai si è fermato e, anzi, molto spesso, ha prodotto e diretto più di un lavoro nello stesso anno. Che si misuri Brian Eno come teorico musicale, calcolatore e genio, vestendolo, dunque, del profilo che gli spetta. L’idea dell’eterno ritorno, o della ciclicità storica, tale rimane se non si afferma contestualmente il concetto di amor fati: la capacità di far coincidere il proprio sé con il corso degli eventi così come essi si verificano. L’amore per il fato è proprio il rifiuto del futuro racchiuso in schemi concettuali, ripetizioni e reiterazioni, che altro non fanno che tradire il dinamismo proprio dell’esistenza. Brian Eno, con High Life, dà nuovamente prova di essere non l’origine di qualcosa ma di qualcuno, di sé stesso e del proprio destino, che è a sua volta iniziatore.

Tracce consigliate: DBF, Cells & Bells.