25 febbraio 2012. Mia prima volta al Circolo Degli Artisti, non pianificata. Appena entrato, sul palco trovo un pagliaccio con dei pantaloni a righe, di lì a poco sarò consapevole della sua identità, con band al seguito. Erano i Management del Dolore Post Operatorio che oltre al nome di merda sono balzati alle cronache solo grazie alla pagliacciata (cosa poteva altrimenti fare un pagliaccio) del mettersi palle al vento al concertone del primo maggio. Quando si dice dove non s’arriva con la musica s’arriva con lo spettacolo (?).

Ma fortunatamente ero arrivato giusto giusto alla fine del loro set. Sul palco salgono i Blouse, nome che a me non disse nulla (scusate l’ignoranza, esperti). In breve le loro voci riverberate, i synth e la batteria che tiene i quarti (immancabile) mi convinsero della bontà della band. Riuscivano a creare un ottimo mood dreamy, sospeso.

Oggi, scherzo del destino, ho la possibilità di recensirli. Ma subito ci si deve dimenticare dei synth. E’ cambiata la formazione, niente tastiere. Non è cambiamento da poco, all’ascolto si carpisce immediatamente la totale svolta sonora.

Dalle atmosfere full-dream pop si passa in un altalena comandata da phaser e flanger tra picchi psichedelici e risvolti inaspettati molto vicini al grunge. Senza tastiere ma anche con il bassista degli Unknown Mortal Orchestra in produzione. Questi due i motivi principali del restyling Blouse.

Si diceva grunge – addirittura- è la bassline di apertura del disco e di Imperium a conferire un taglio simile ad Imperium. Personalmente una linea che ha ricordato – visto che siamo in tempi di ristampe e di buoni album come quello di Speedy Ortiz – le linee di Krist Novoselic. Anche in altri pezzi, come In A Glass oppure Eyesite,  si sente quel “sentimento di grunge” che rimane sopito grazie al riverbero della voce di Charlie Hilton e alle manopoline delle distorsioni non aperte del tutto. Ma questa del grunge è una suggestione forse troppo soggettiva.

Resta il fatto che la band di Portland dividendo con maestria ballate sognanti – 1000 Years – a brani ritmati come Arrested, che salva il rischio d’eccessivo rilassamento dopo la pigra Happy Days oppure ancora agli sperimentalismi su note acide sixties – Capote- tira fuori un album interessante per la capacità catchy e per la curiosità nel sentire “come suonano questi Blouse senza synth”.

Un mix riuscito tra le inevitabili vene psych degli Unknown Mortal Orchestra e tracce sparse del loro precedente sound come ha fatto un artista simile a loro, Frankie Rose.

p.s. Charlie ti credevo una timidona, non t’avrei mai immaginata così bau.

Tracce consigliate: Imperium, No Shelter