La miccia dell’hype sui Black Country, New Road si è accesa in fretta. Formatisi nel 2018 come rinascita dei Nervous Conditions, entrano da subito nel giro dello storico Windmill di Brixton (Londra) e della Speedy Wunderground di Dan Carey, insieme ad altre realtà hip come black midi e Squid. Long story short, il singolo Sunglasses esplode come una bomba a mano, portando i Black Country, New Road sulla bocca di tutti e nei cartelloni di ogni festival estivo del 2020, gli appassionati di tutto il mondo tenuti sul palmo della mano da questi 7 ventenni con due pezzi su Spotify e nessuna informazione su un disco, un EP, niente. L’attesa è talmente tanta che sul web iniziano a circolare bootleg dal vivo, le esibizioni su YouTube vengono consumate, arriva una pandemia globale, la band firma per Ninja Tune e si arriva ad oggi.

For the first time non è una sorpresa, almeno per chi conosce la band. Quattro delle sei tracce in scaletta erano già state pubblicate come singoli tra il 2019 e il 2021, mentre gli altri due brani erano già diffusi sulle registrazioni di cui sopra. Nonostante questo, For the first time è una scarica elettrica lungo la spina dorsale e conferma ogni sensazione avuta in questi tre anni di ipotesi, deduzioni, speculazioni. Sì, i Black Country, New Road sono freddi, distaccati, algidi, danno l’impressione di sapere di essere più intelligenti di te, ma riescono allo stesso tempo ad essere una delle cose più fighe uscite dalla scena UK negli ultimi anni. Sicuramente la più figa degli anni Venti, almeno fino a questo momento.

Le coordinate musicali non sono niente di nuovo e per certi versi fa strano che una roba del genere abbia un hype così totalizzante. For the first time mischia chitarre taglienti, sax che vanno per i cazzi propri, foto brutte, il font Helvetica, gli ultimi Swans, il post-punk e la musica popolare, immaginatevi gli Arcade Fire alle prime armi che fanno cover degli Slint durante un bar mitzvah.
Chi si è avvicinato all’album con il tradizionale percorso dei singoli, potrebbe rimanere stupito dagli elementi klezmer (musica tradizionale ebraica) di Instrumental e Opus – prima e ultima traccia dell’album, le uniche due non ancora pubblicate in streaming – ma è un’influenza dovuta alle esperienze di orchestra e improvvisazione di Lewis Evans e Georgia Ellery, rispettivamente sassofono e violino nella band, comunque nulla che non fosse già finito nel radar della critica anni fa.
Il resto dei brani scorre come un fiume in piena, dal post-punk/spoken word di Athens, France alla narrazione quasi free-jazz di Science Fair, fino alla romantica Track X, un lago limaccioso in cui ogni strumento suona sospeso in un tempo tutto suo.

Dancing to Jerskin, I got down on my knees
I told you I loved you in front of black midi

Poi c’è Sunglasses, il pezzo della ribalta, qui ri-registrato per integrarsi al meglio con il resto dei brani. Perde forse di immediatezza, ma ne guadagna il quadro generale, oltre a mantenere quasi intatto uno dei testi più belli degli ultimi anni, in cui il flusso di coscienza del cantante Isaac Wood si alterna a colpi di scena teatrali, capaci di unire ironia e melodramma in poche parole:

Mother is juicing watermelons on the breakfast island
And with frail hands she grips the NutriBullet
And the bite of its blades reminds me
of a future that I am in no way part of

I video live della band fanno impressione e danno veramente l’idea che metà dei membri abbiano appena imbracciato uno strumento e stiano semplicemente facendo cose a caso per vedere quello che succede. Non aiuta che tutti e 7 sembrino perennemente scazzati e non perdano la testa nemmeno negli attimi più concitati (vedi la seconda parte di Sunglasses, l’esplosione finale di Science Fair, il crescendo folk di Opus), sembra davvero di essere di fronte a degli studenti di arte che fanno musica cervellotica per altri come loro. Una roba tipo “probabilmente il tuo QI non è abbastanza alto per capirli” – in pratica quello che dicono continuamente i fan di Rick & Morty. Eppure è impossibile non sorridere ascoltando un disco così ricco di citazioni, sfumature ed entusiasmo giovanile, che si riflette soprattutto nel buttarci dentro un po’ tutto il cazzo che gli pare, come lasciare libero un bambino in un negozio di giocattoli.

C’è chi dice che somigliano agli Slint: “Gli Slint sono una band incredibilmente figa, quindi ci va bene se ci dicono che suoniamo come loro” rispondono. C’è chi dice che sono i prossimi Arcade Fire: “Abbiamo già scritto un album che suona come loro, straight-up indie” commentano. C’è chi dice che sono troppo folk: “Ultimamente stiamo scherzando sulla scena di Canterbury, magari nel terzo album ci sarà un liuto…” chiudono. Una cosa è certa: i Black Country, New Road mischiano talmente tanti suoni, idee e influenze da suonare come 100% derivativi e come completamente innovativi allo stesso tempo. Sono destabilizzanti ed eccitanti insieme, ed era da parecchio che non ci gasavamo così tanto per dei ragazzini inglesi dalla faccia pulita, che sicuramente al prossimo disco suoneranno completamente diversi. È probabile che For the first time non piaccia a buona parte del pubblico: troppo folk, troppo distaccato, troppo algido, troppo tutto. Chi ne verrà attratto finirà in un’Odissea di 40 minuti che suona come se il mondo fosse sul punto di crollare.

Non troppo distante dalla realtà, dico bene?

Tracce consigliate: Sunglasses, Science Fair, Opus