A U R O R A.
Questo è il titolo del nuovo album. Così scandito, forse urlato dal Ben Frost che svetta in copertina quasi fosse un supereroe, un usurpatore di anime e allo stesso tempo un liberatore di schiavi, un tornado implacabile che si abbatte sull’umanità con una violenza senza eguali. Ben Frost abbraccia fieramente ed egualmente in quest’ultimo disco cacofonie aspre e dissonanti, sferzate industriali che impietose frustano il cuore, ma anche melodie celestiali e luminose, rincorse soniche il cui fine ultimo non può che essere l’infinito. Ben Frost è un demiurgo instancabile i cui rumori strazianti suonano alla stregua della Nona di Beethoven. A U R O R A è un concentrato talmente pregno di emozioni che sradica i sentimenti di chi lo ascolta e che mette a dura prova la facoltà descrittiva del recensore, ignobile mezzo narrativo di un’opera a tratti incomprensibile.
Lasciate le lande ghiacciate d’Islanda l’artista registra il nuovo disco in Congo, mixandolo però a Reykjavík con l’aiuto di Valgeir Sigurðsson, fondatore dell’etichetta Bedroom Community. Impossibile non menzionare l’apporto titanico di Greg Fox (Liturgy) e Thor Harris (Swans) alle batterie, vere protagoniste – a sorpresa – e scheletro portante dell’opera.

Proprio la vena percussiva del lavoro stupisce e lascia inermi. Seppur ogni pezzo sia immerso e permeato fino al midollo dei sentimenti nordici e taglienti tipici del Ben Frost più puro, sono i battiti selvaggi e viscerali a scuotere l’ascoltatore. Ad essi si aggiungono synth acidissimi e taglienti, lugubri campane i cui rintocchi brillano di luce oscura nelle tenebre e rumori degni delle fucine del dio Vulcano. Venter è tutta un sotterraneo ribollire di lava, impetuosa corsa verso la superficie, un tunnel la cui estremità si chiude a ogni metro percorso da un fuggitivo destinato a rimanere intrappolato in un mondo che non ci è dato conoscere, proprio quando sembrava che il culmine del climax stesse per esplodere. Nolan e Secant (con la sua coda Diphenyl Oxalate) sono due gioielli, due perle, due gemme. L’apologia dell’assurdo si manifesta in tutta la sua potenza. Vi ritroverete a ballare su pulsazioni animalesche che di regolare hanno ben poco; per svariati minuti – un’eternità – attenderete un’esplosione più volte annunciata e finalmente manifesta: synth che come saette squarciano il cielo, industrial che incontra il rave, melodie d’imperturbabili e furiose schiere di cherubini. Flex, The Teeth Behind The Kisses e No Sorrowing sono riuscitissimi momenti di fredda tregua ambient, col sentore che il delirio apocalittico non si sia ancora del tutto compiuto. Ed eccolo che arriva, infatti, racchiuso nei dieci minuti finali di Sola Fide e A Single Point of Blinding Light, un’escalation dolorosa con picchi di nonsense sonoro, rumore bianco e infausta staticità, necessari per giungere alla liberazione finale e godere definitivamente dell’A U R O R A.

Ben Frost è creatore di un mondo tutto suo, in cui luci e ombre, guerra e pace, delirio e tregua, bene e male, rispondono solo ed esclusivamente ai suoi voleri. A U R O R A è un disco che nasconde la ricerca straziante di un qualche bene, ma che si ritrova a passare consapevolmente e inevitabilmente in mezzo a nefasti accadimenti. L’artista sembra a suo agio in questi roboanti territori infernali; Dio, Dante e Virgilio della sua stessa creatura, messia del delirio, si culla nella distruzione e non riesce più a uscirne. Questo è il suo percorso, impossibile cambiarlo.
A voi la scelta. Non siete obbligati a seguirlo in questo viaggio nelle profondità accecanti dell’ignoto, ma vi assicuro che da qui l’A U R O R A mozza il fiato.

Tracce consigliate: Nolan, Secant, Venter.