Ormai non c’è più motivo per presentarli con grandi elogi, i Be Forest sono, da anni, una delle preziose gemme che l’Italia ha da offrire al mondo. Parliamo di coloro che hanno caratterizzato la scena indipendente nostrana per ormai una decade, portando in alto l’ondata dreamy che ultimamente sembrava essersi pareggiata. L’impegno di un nome come Knocturne offre già l’idea di cosa potremmo andare incontro con il terzo disco della band pesarese. Se infatti ci si aspettava la manovra verso l’accompagnamento orchestrale con il quale ci avevano lasciato l’ultima volta tramite l’esperimento (ben riuscito) Earthstrings, ora il trio ha invece svoltato verso atmosfere decisamente più attinenti a quella che era la cupa idea del progetto Be Forest, paragonabili al post punk dei DIIV, il dream pop dei Blouse, il drone degli Spaceman 3. Diciamo però che, arrivati ormai a questo punto, paragonare la band a sonorità altrui snaturerebbe sin troppo il progetto, da sempre conosciuto per l’ingegno proteiforme che lo caratterizza.

L’idea di Knocturne è rintracciabile ovunque, allontanandosi da un sito in particolare, il disco trova forma in ogni luogo, apparentemente spettacolo in una fittizzia opera teatrale della quale siamo attori. Nella sua tetraggine, la confusione nelle melodie del trio sembra sempre offrire una soluzione negli arpeggi che caratterizzano il suono della band, questa volta estroversi, offrono una via d’uscita dalla cupa idea del disco, evitando la soluzione dark wave.

È infatti punto di forza della band pesarese quello di mai sbilanciarsi troppo su specifiche sonorità. Se Gemini pare tetra con la prepoteza della propria sezione ritmica, l’equilibrio viene invece posto con la simmetrica concordanza chitarra-voce. Accade allo stesso modo con la sognante Sigrfrido, punto più alto del disco, segnato da un battito impeccabile e concordanza tra vocalizzi eterei che vanno a diramarsi in in quella che poi crea le atmosfere più gaze alla quale la band si è più avvicinata.

Non ci sono incongruenze, Knocturne, nei suoi trenta minuti, scorre con l’autorevolezza di chi ormai ha trovato la propria dimensione, incantato nella propria staticità (Empty Space; Atto II; You, Nothing), instancabile quando movimento (K, Bengala, Fragment), rappresentazione della più cupa e mutevole realtà.

Tracce consigliate: You, Nothing