A leggere i dischi simili che vi abbiamo consigliato qua sopra, so benissimo che i sofistici saranno lì a storcere il naso: “come fa un disco a suonare come i Kings Of Leon, i TV On The Radio e Yves Tumor allo stesso tempo?” Bella domanda, me lo sono chiesto pure io, ma andiamo con calma e non preoccupatevi perché durante l’ascolto vi sembrerà davvero di stare a sentire almeno tre artisti diversi, in altrettanti contesti musicali.

Bartees Strange è un simpatico ragazzone sulla trentina che, per un motivo o per l’altro, ha vissuto in diverse parti del mondo sin da quando era bambino – Inghilterra, Groenlandia, Germania e Oklahoma per poi finire nella capitale americana Washington D.C., dove oggi vive scrivendo e producendo musica. Non ci è dato sapere se questi viaggi siano stati di forte ispirazione per la sua musica, ma l’estrema eterogeneità di questo album ci fa pensare – con un po’ di supponenza – di sì.

Partiamo da una cosa abbastanza evidente: in questo album non c’è assolutamente nulla di nuovo né di rivoluzionario: a grandi linee avrete già sentito tutto ciò andrete ad ascoltare nelle 11 tracce, divise per 35 minuti. La chiave del disco, però, risulta essere l’imprevedibilità, accompagnata da un’ottima esecuzione. Prendete la facilità di ascolto dei ritornelli di Come Around Sundown dei Kings Of Leon (un po’ in Boomer, moltissimo in Stone Meadows), aggiungete quella vena art-indie-alt-rock dei TV On The Radio  (In a Cab) e mischiate tutto con l’estro e la creatività che Yves Tumor ci ha mostrato negli ultimi anni (non lo sentirete tanto nelle canzoni, quanto più nel mix delle sonorità proposte da Bartees).

La prima metà di Live Forever, ben movimentata e rockettara, è guidata da Mustang e Boomer che sono semplicemente due brani che tantissime indie-band, oramai sul lastrico, stanno provando a scrivere da almeno 10 anni, fallendo miseramente: un po’ Bloc Party e Bombay Bicycle Club nella prima (ecco l’influenza UK di prima), un po’ Fall Out Boy e Black Keys con l’aggiunta di una leggera sfumatura emo-college-rock nella seconda. La seconda parte, più riflessiva e profonda, si districa tra un banalotto folk à-la Bon Iver in Far e Fallen For You ed esperimenti più interessanti nelle rimanenti Ghostly, Flagey God e Mossblerd che, insieme a Kelly Rowland, formano un quartetto elettronico di tutto rispetto tra trip-hop, rnb e acid-synth-pop.

Se da una parte questa combinazione di generi può essere presa come una mancanza di idee, dall’altra può essere l’avviso da tenere a mente durante l’ascolto dell’album per poi considerarlo quello che è: un lavoro di un bravo uaglione che ha voluto sperimentare forse troppo, ma che ha saputo trovare qualche spunto interessante qua e là e che potrebbe avere un futuro dignitoso se dovesse decidere di concentrarsi maggiormente su un genere in particolare.

Tracce consigliate: Mustang, Boomer, Kelly Rowland