Come i cervi più eruditi sapranno, è un simbolo greco che in matematica viene spesso accostato ad una variabile per indicare il cambiamento della stessa.
Dal 2012 quel simbolo ha la stessa identità di sempre, ma si pronuncia Alt-J (come la combinazione di tasti che gli anglosassoni usano sui loro Mac per vederlo apparire in un file di testo) e ha il volto di (nonostante la dipartita dell’amica Sandra Mondaini) quattro ragazzi inglesi provenienti dall’università di Leeds, West Yorkshire.
Gli Alt-J, messi accanto alla variabile “musica” ne indicano il cambiamento.
Ebbene sì, dall’uscita di An Awesome Wave niente è come prima, perlomeno niente per chi abbia un minimo interesse per la musica.
Credo di parlare a nome di molti di voi affermando che un debutto come il loro non si vedeva da tanto (troppo…ndr) e ora, dopo due anni d’attesa, eccoci qui a parlare della loro nuova fatica intitolata This Is All Yours.
L’hype è incredibile e i singoli estratti dal disco hanno in buona parte zittito gli scettici.
Metabolizzato il disco d’esordio, quello che ci ha stupito degli Alt-J oltre alle parti ritmiche di Thom Green, il timbro particolare e un pò nasale di Joe Newman e i synthoni di Gus Unger-Hamilton è il saper combinare impeccabilmente questi elementi; cucendo una maglia sottile di strutture e armonizzazioni caratteristiche con influenze quasi tribali e spesso barocche nell’articolazione.

Bando alle ciance.
Si parte con Intro: cori che si accavallano e giocano con dissonanze interessanti, sonorità pressoché identiche al passato, segue  Arrival In Nara, malinconica e di un’intimità assoluta, molto più probabilmente la vera e propria introduzione al disco.
La prosperità del trio viene qui accostata alla figura del cervo, simbolo di fecondità, venerato nella città giapponese di Nara. All’interno dell’album vedremo spesso ricorrere la vecchia capitale del Giappone, come meta reale ma “utopica” simbolo di libertà e armonia. La naturale prosecuzione del percorso non può che essere la sacrale Nara, il primo vero pezzo che stuzzica i timpani, àncora a terra nonostante non sia assolutamente scontata, forse grazie alla presenza di strumenti acustici a minimizzare l’estetica e preservarne la sostanza. Left Hand Free presenta una riuscita e “originale” impalcatura blueseggiante à la Black Keys, messa nero su bianco nell’estroso stile Alt-J.
Fin qui bene; nonostante ci siano molti rimandi ad An Awesome Wave (sia a livello di tracce: vedi Every Other Freckle, bella, ma fotocopia di Fitzpleasure ma anche a livello strutturale della produzione), sembra che gli Alt-J abbiano creato un substrato più compatto rispetto al disco d’esordio, peccando però in termini di impatto sonoro.
Hunger Of The Pine è cupa e quasi trip-hop, sembra essere uno tra i pochi veri balzi sonori della band e sarebbe il più azzeccato se Warm Foothills non lasciasse a bocca aperta con brividi annessi: composizioni vocali con timbri differenti, falsetti inerpicati su chitarre acustiche, un gioiellino à la Bon Iver insomma.
Se The Gospel Of John Hurt rimanda indirettamente a Taro, ma con cadenza più marcata ed appoggiata, Bloodflood Pt.II vuole essere un continuum palese con il lavoro precedente: sonorità percussive quasi dubstep, fiati imponenti ma melodicamente troppo statica (da sottolineare un gradito tributo a KRS One con quel “that’s the sound of da police” a fine strofa).
Si chiude con Leaving Nara impeccabile chiosa di breve durata con sonorità vulcaniche, quasi apocalittiche.

Volete chiamarla prova di maturità?
A mio avviso non è proprio così che si possa definire This Is All Yours; ci sono forse troppe similitudini con il disco di debutto.
An Awesome Wave ha avuto un eco pazzesco proprio perché inserito nel contesto giusto, nell’anno giusto.
This Is All Yours regala momenti splendidi, di altissima musica senza alcun dubbio ma la sensazione che spesso trasmette è quella di una fotocopia un po’ sbiadita del predecessore.

Tracce consigliate: Hunger Of The PineWarm Foothills.