La storia della ventunenne Alexandra Savior potrebbe essere quella di tanti giovani che, partendo dalla provincia, hanno raggiunto la Città degli Angeli in cerca di fortuna e l’hanno trovata dopo aver svolto mille lavori o essere dovuti scendere a compromessi. Il suo percorso si avvicina ma la storia è un po’ diversa. Nativa di Portland, lascia la sua città natale a 17 anni e, trasferitasi a Los Angeles, dopo aver lavorato come modella firma un contratto con la Columbia Records a soli 18 anni, che decide di farla incontrare con un tamarro di Sheffield, tale Alex Turner, residente anche lui da qualche anno a L.A. Il primo frutto dell’intesa (musicale) tra i due è Risk, brano che entrerà a far parte della colonna sonora della seconda stagione di True Detective, da lì in poi inizieranno a lavorare al suo album di debutto, se non che uno dei primi brani scritti assieme (Miracle Aligner) finirà nell’album Everything You’ve Come To Expect dei The Last Shadow Puppets, perché viste le tematiche non lo sentiva pienamente suo:

 We wrote that song for my record but I didn’t really feel connected to it, I think it was kind of more of Alex’s idea because it was sort of a spark that he brought….and it’s obviously about a coke dealer – it’s a lifestyle that I didn’t relate to myself

Quando si comincia a fare sul serio entra in scena James Ford (produttore e collaboratore storico di Alex Turner e di molti altri) e inizia così a prendere forma anche la vera e propria estetica musicale di Belladonna Of Sadness; come è facile intuire, l’influenza dei due è presente ed evidente nel corso di tutte e 11 le canzoni, in cui il leader degli Arctic Monkeys compare nella doppia veste di produttore e co-autore. Inevitabile l’accostamento a Lana Del Rey, a partire dall’aspetto timido e svampito fino al modo di cantare, tra il languido e sognante, resta da capire se è una cosa voluta o del tutto casuale, ma vista la giovane età e quanto ci ha investito l’etichetta discografica qualche dubbio è lecito (fermo restando che Lana Del Rey non detiene nessun copyright). L’album prende il nome da un film giapponese del 1973 e, visto il suo sound decisamente retrò, lo si può considerare pop-rock dalle tinte noir, impreziosito dall’ottimo lavoro in fase di produzione; le chitarre di Alex Turner devono molto allo stoner rock dei Queen Of The Stone Age e la sua trasposizione in chiave più leggera suona meravigliosamente. Il primo assaggio l’abbiamo in coda a Bones e Girlie, in intermezzi che sembrerebbero suonati da Josh Homme se non sapessimo che tutte le parti di chitarra e basso del disco sono opera dell’Elvis albionico; M.T.M.E. (uno dei brani migliori) suona come un viaggio in mezzo al deserto di notte, dove ancora una volta la chitarra di Turner squarcia l’aria sul finale, puntellato da un synth che accompagna la voce di Alexandra fino alla conclusione.

Con testi molto cinematografici (Well it never was all that clear/Why you left me standing in the mirror/The horizon drank me down […] No, I never did completely know/Why you sunk down on that gas pedal/Always trying to skip the town) che riconducono a un immaginario ben preciso (Talk about Hollywood problems/She’s got ‘em/She’s always looking for a wilder ride/And she’ll be fuckin’ with her phone all night) il rischio più grosso era quello di risultare ripetitivi anche dal punto di vista strettamente musicale, cosa che non è avvenuta grazie al buon gusto, la classe e l’eleganza della coppia Turner & Ford. La scommessa più grande è come affronterà il secondo disco, ma nel frattempo ci godiamo questo piacevolissimo viaggio indietro nel tempo.

Tracce consigliate: Girlie, Vanishing Point