Ci sono dischi che sono bellissimi perché sono belli e ben prodotti. Ci sono dischi che sono ancora più belli perché sono belli e prodotti male (quindi sono proprio belli di loro, eh). Ci sono dischi brutti e basta. Poi ci sono dischi brutti ma che, con una produzione ben architettata, finiscono per risultare – ad un primo ascolto – quasi carini.

L’ultima fatica degli Akron/Family calza perfettamente in quest’ultima categoria, e può essere considerata l’equivalente in musica di un lingotto di ferro placcato d’oro.

Innanzitutto, è doveroso illustrare l’identità degli Akron/Family: trattasi di un collettivo musicale (già, come gli Animal Collective) che propone un folk rock sperimentale abbastanza sui generis, ascrivibile al grande contenitore new weird america (già, come gli Animal Collective); la band, dopo essere stata per anni sotto la protezione di Mr. Swans” Michael Gira e della sua Young God Records, nel 2009 è passata – in seguito alla partenza del membro fondatore Ryan Vanderhoof – all’etichetta Dead Oceans (tra gli altri, A Place To Bury Strangers e The Tallest Man On Earth).

Come ho già accennato in precedenza, Sub Verses è un album che suona bene.

Già, perché gli intrecci sonori ben articolati dell’opener No-Room, composti da ossessive raffiche di rullante, cori e riff di chitarra vintage, dopo lo spaesamento iniziale rapiscono l’orecchio di chi ascolta. E, se vogliamo dirla tutta, anche le prime ipnotiche schitarrate di Way Up convincono, ma il pezzo, nonostante per tutta la sua durata ci si aspetti un cenno di apertura, rimane completamente piatto e altamente soporifero.

Da qui in poi, le acrobazie psycho-weird-folk dei fricchettoni americani, nonostante con innumerevoli ascolti abbia tentato di trovarci qualcosa, avranno ben poco altro da dire.

Pezzi ingiustificatamente statici e pretenziosi, come Holy Boredom, When I Was Young, Samurai e Whole World Is Watching, circondano l’unico pezzo davvero valido dell’album, la marziale Sand Time.

La sola conclusione che, purtroppo, possiamo trarre dall’ascolto di questo LP è che gli Akron/Family siano una band che non ha più nulla da dire, almeno da tre dischi a questa parte. Forse Ryan Vanderhoof era davvero più che fondamentale per la band dell’Oregon, ed il cambio di label che ha seguito la sua partenza non ha sicuramente giovato alla situazione. Gli unici aspetti che evitano che l’album sia una totale Caporetto sono la produzione, davvero scintillante, e l’originale scelta di alcune sonorità, che se non altro distraggono dal piattume che le avvolge.

A volte l’avanguardia e la sperimentazione sono poco più che maschere, scuse per nascondere grosse mancanze compositive che conducono a partorire album pesanti e noiosi come questo. 

Del resto, forse in America perle di saggezza come questa non sono mai arrivate.

Tracce consigliate: Sand Time