La musica degli Arbouretum, un hard-psych-folk infarcito di elementi blues, grunge e stoner, è in realtà molto meno complessa e più tradizionale di quanto la sfilza di generi e sottogeneri che sfiora lascino intendere: si tratta del Neil Young più ruvido che incontra i Black Sabbath e ogni tanto si concede passaggi à la Pink Floyd, spesso sfumati di slowcore (tra Low e Codeine).

Fare un disco davvero originale con queste premesse è molto difficile, e in effetti la band di Baltimora con Coming Out of the Fog non ci è affatto riuscita: anzi, il quinto LP del quartetto statunitense è all’insegna del tradizionalismo più integralista.

Tuttavia ciò non esclude necessariamente che ci siano passaggi degni di nota: The Long Night, traccia d’apertura, è una cavalcata folk elettrica che fa il verso al sopracitato Young e ai Fairport Convention, The Promise è un pezzo stoner duro e puro, mentre Oceans Don’t Sing è una toccante ballad ricamata da chitarre slide che richiama alla mente alcuni passaggi dei Floyd di Meddle e ci regala i momenti più belli dell’album.

World Split Open fa  ripiombare sul disco atmosfere stoner pur non risparmiando riferimenti ai Black Sabbath, Easter Island è un breve (2:45 min) ma interessante passaggio strumentale hard-psych sorretto da un polveroso muro di chitarre compresse e distorte e da un drumming pesante e intenso, ed è anche l’ultimo brano notevole, considerando che la title-track che ha il compito di chiudere il disco è una ballata quantomeno insipida.

Coming Out of the Fog è un disco senza picchi, derivativo e approssimativo, che quasi mai riesce davvero a incidere. Certo, a tratti è anche capace di farci scappare qualche entusiasta “wow” (Oceans Don’t Sing docet), ma sicuramente sono molti di più i momenti in cui ci sentiamo di esclamare annoiati “che palle”, anche nei passaggi più (e le virgolette sono d’obbligo) “sperimentali”.

Recommended tracks: Oceans Don’t Sing