Nell’ultimo mese sono usciti un po’ di dischi elettronici di artisti italiani. Qui sotto ve li descrivo per darvi un’idea di come suonino, senza nemmeno mettere il voto perché sono tutti belli, in modo diverso. Fareste bene ad ascoltarveli (e già che ci siete sentitevi anche quelli, altrettanto belli, che sono usciti prima di un mese fa: Donato Epiro, Petit Singe, Populous, Clap! Clap!, Caterina Barbieri e Michele Mininni).

Lorenzo Senni – The Shape Of Trance To Come

Giunto ormai alla seconda uscita sulla storica Warp (oltre a Superimpositions e ai progetti precedenti), Lorenzo Senni non ha più bisogno di elogi né tanto meno di presentazioni. La sua pontillistic trance è ormai conosciuta, sì, ma mai immobile né tanto meno prevedibile: pur completamente priva di percussioni, essa riesce a risvegliare, ad ogni ascolto sempre più, una danza viscerale, ancestrale proprio nel suo essere inspiegabile. Sopraffino compositore e maestro della manipolazione sonora, Lorenzo ha già visto The Shape Of Trance To Come e ci sta mandando cartoline direttamente dal 3017 musicale. Noi non riusciamo più a farne a meno.

Still – I

Simone Trabucchi non è un novellino nel mondo dell’arte (Dracula Lewis, Invernomuto, Hundebiss, Negus), ma è probabilmente con questo I, uscito a nome Still per l’ormai conclamata fucina di talenti tedesca PAN, che otterrà l’attenzione meritata. Abbandonato il noise del passato, Still si propone di evolvere quello che era il concept di Negus, documentario con Lee “Scratch” Perry incentrato sul passato coloniale italiano e i suoi collegamenti con Giamaica ed Etiopia, allargando ancor di più la visione d’insieme. Le sonorità del lavoro abbracciano indistintamente la dancehall e il dub più crudo, suoni analogici e intarsi digitali, synth di rimando grime e bassi gommosi; il tutto si interseca magistralmente alle voci di sei cantanti italo-africani che cantanti nella vita non sono, in un imprevedibile ottovolante di percussioni e bpm.
La bellezza di I sta proprio tutta qui, nella sua cruda immediatezza, in quel sincero suonare come la miglior fotografia dei nostri tempi. Un lavoro ultra contemporaneo che colpisce dritto in faccia, con classe e personalità.

Mana – Creature

Daniele Mana si è tolto la maschera. Il prolifico produttore torinese si slega dal moniker Vaghe Stelle, che dagli albori lo accompagna, per approdare su Hyperdub con questo Creature, un lavoro che suona come una nuova nascita a tutti gli effetti. Bando ai beat di ogni sorta (sono rintracciabili solo un fugace rigurgito rave in Runningman e uno dub in Crystaline), sono i synth a farla da padrone. Rumori, arpeggi, staffilate analogiche minimali all’origine ma irruenti e totalizzanti nella resa finale, grazie alla mitosi generata da delay e riverberi.
Creature è un cyborg che, destabilizzato, si guarda attorno ancora ricoperto di liquido amniotico e che, piano piano, inizia la ricerca di un senso. Ben presto si rende però conto di quanto tutto ciò sia vano, raggiungendo, proprio nel più umano sconforto, i migliori momenti musicali: Rabbia, Uno E Solo, Consolations.
Mana si sente libero di agire nelle sue nuove vesti, non più costretto in ormai gravosi stilemi, e lo si percepisce: il finale aperto non può che essere di buon auspicio.

Ninos Du Brasil – Vida Eterna

Poco da dire: Nico Vascellari e Nicolò Fortuni ritornano sulla Hospital di Fernow e menano botte da orbi. Riti oscuri, danze tribali attorno a fuochi neri come i suoni dannati che popolano questo Vida Eterna; titolo emblematico, appunto. Quattro quarti bestiali, pelli battute come fosse l’unico modo per espiare peccati originali. L’industrial penetra le foreste tropicali, il cuore del mondo pulsa in un tutt’uno con la cassa dritta di ridde allucinate, arricchite da vocal tutt’altro che rassicuranti. È un inferno, è la natura che compie sacrifici umani per rigenerare ad libitum il proprio ritmo.
C’è un solo modo per salvarsi: danzare. Il riposo è consentito solo sul finale, in featuring con Arto Lindsay.

Indian Wells – Where The World Ends

Dedizione, cura dei dettagli e sentimento. Questi gli elementi che subito balzano all’orecchio ascoltando la musica di Pietro Iannuzzi, giunto al terzo disco a nome Indian Wells. Le tracce di Where The World Ends muovono il proprio corso tra arpeggiatori e bassi gommosi, percussioni ora dritte ora intelligentemente spezzate, sempre in sentore deep. È la componente melodica, però, ad essere il fulcro del lavoro. Proprio questo elemento centrale, abbinato ad una produzione cristallina, ha il pregio di aprire le porte di un ascolto che risulta vincente anche se estrapolato da un contesto danzante. Where The World Ends è un disco che funziona tanto a casa quanto sul dancefloor, proprio perché è genuino, figlio di una composizione sincera e matura.

Godblesscomputers – Solchi

Solchi è un disco nero, nel senso che possiede una marcatissima anima black, ma dalle cui fratture fuoriesce dirompente un raggio di luce. C’è la matrice hip hop, ovviamente, che è anima portante del percorso artistico di Lorenzo Nada, ma ci sono anche tanto soul, soprattutto grazie all’apporto dei vocal e delle voci vere e proprie, i giri di basso funk, le chitarre che donano aria e le percussioni sempre a puntino. Riuscire a mantenere alta l’attenzione nello snodarsi di 16 tracce, nel 2017 poi, è impresa ardua; Godblesscomputers ci riesce variando i suoni e, soprattutto, cospargendo ogni traccia con un elegante velo pop che rende il lavoro un ascolto perfetto per l’autunno in cui ci siamo ormai addentrati.