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Questa storia non ha un lieto fine, ed è bene premetterlo.

La querelle circa la probabile chiusura del Fabric, storica venue delle notti londinesi, ha avuto inizio qualche settimana fa, a seguito della morte di due diciannovenni per abuso di droga (nel club non si verificavano incidenti da due anni, anche grazie all’adozione di più severe misure di sicurezza, fra cui un sistema di scanning del documento di identità, il ricorso a cani antidroga all’ingresso, una rete di telecamere a circuito chiuso gestite dalla polizia e perquisizioni alla porta).

Data la recidività dell’accaduto -nel 2014 si era tornati a discutere di una potenziale revoca della licenza, scampata grazie ad una petizione online e a richieste accorate, rafforzate dall’introduzione di rigide condizioni da rispettare- non è stato semplice, questa volta, salvare le sorti del locale, tentando un dialogo con le forze di polizia ed amministrative della città.

Il team del Fabric e la polizia si sono incontrati per conoscere il verdetto presso l’Islington Town Hall, dove un dibattito di sei ore (che hanno incluso l’intervento di un consigliere convinto che BPM più veloci equivalgano ad un maggiore pericolo di decesso), si è concluso con la definitiva revoca della licenza al club, che rimarrà chiuso fino a nuovo ordine, dati i risultati delle indagini svolte:

“Searches were inadequate and in breach of the license. There is a culture of drugs at fabric which management cannot control.”

Tutto il mondo della musica si era mobilitato per evitare il peggio: dalle pubbliche dichiarazioni di sostegno di artisti come Skream, Matt Tolfrey, Lee Curtiss, Jamie Jones, The Martinez Brothers, Sasha ed Eats Everything -fra i tanti-, alla petizione lanciata online per convincere il sindaco Sadiq Khan a salvare il futuro del Fabric. Quest’ultimo, per altro, si è detto deluso della definitiva chiusura del locale e del mancato raggiungimento di un accordo, convinto che la portata del problema sia ben più vasta, estendendosi all’impoverimento della nightlife londinese tutta -non solo a quella del Fabric:

“London’s iconic clubs are an essential part of our cultural landscape. Clubbing needs to be safe but I’m disappointed that Fabric, Islington Council and the Metropolitan Police were unable to reach agreement on how to address concerns about public safety.

As a result of this decision, thousands of people who enjoyed ‎going to Fabric as an essential part of London’s nightlife will lose out. The issues faced by Fabric point to a wider problem of how we protect London’s night-time economy, while ensuring it is safe and enjoyable for everyone. Over the past eight years, London has lost 50 percent of its nightclubs and 40 percent of its live music venues. This decline must stop if London is to retain its status as a 24-hour city with a world-class nightlife.”

Gli sforzi non sono valsi alla vittoria, sebbene Alan Miller, a capo della NTIA (Nightlife Industries Association), abbia già lanciato una raccolta fondi per sostenere le spese legali che serviranno a tutto il team del club per contestare la decisione. Il co-fondatore del Fabric, Cameron Leslie, ha espresso parole di forte delusione in un discorso sofferto, che potete leggere integralmente qui.

Vi avevamo avvertito dall’inizio, purtroppo.