Se c’è una band in Italia che sia riuscita a far parlare di sé da anni ormai, non possono che venirci in mente i Brothers in Law. È difficile dimenticare un disco come Hard Times For Dreamers, il quale, con le sue atmosfere fredde e magnetiche ha fatto in modo che il 2013 venisse ricordato come l’anno dello shoegaze in Italia.
Tre anni però, sono davvero lunghi ed è impossibile che un cambiamento di sonorità non avvenga. Sappiamo benissimo come l’uscita di un secondo album sia un passo difficile per una band, tuttavia, in questo caso, sappiamo anche che i pesaresi in questione non sono un gruppo capace di intimorirsi davanti a ostacoli simili.

Raise può essere interpretato come un’ascesa, se non una rinascita, lontana da quei momenti bui che la vita propone. Paragonato al primo disco appunto, si capisce come la band abbia voluto abbandonare gran parte di quella malinconia che ben conoscevamo e sia passata ad un certo ottimismo.
Ad essere cambiata è anche la formazione del gruppo al quale è stato annesso un bassista che ha di certo portato la band verso nuovi orizzonti musicali. Jangle pop e dream pop si fanno infatti strada tra chitarre riverberate e linee di batteria già più particolari rispetto alle precedenti, ciò probabilmente dovuto all’ausilio di una batteria acustica completa rispetto allo scorso set composto unicamente dalla triade rullante, timpano e pad elettronici.
L’anima 80’s non è andata persa, a tratti la si percepisce sotto forma di Cure, in altri come Felt, ma il modo in cui viene accomunata a motivi (dieci anni più giovani) simili a quelli dell’album Lesser Matters dei The Radio Dept è punto forte dei BiL.

Gli otto brani hanno una durata totale di 31 minuti, il disco è scorrevole come una pattinata in una pista di ghiaccio appena levigato, a dirla tutta tra un ascolto e l’altro è risultato anche sin troppo breve ma ciò non abbassa di certo la qualità dell’ascolto.
Oh, Sweet Song è la prima traccia del disco, un inno alla musica in uno stile che magari un tempo non avremmo mai accomunato a questa band ma che invece ora vediamo calzargli davvero bene. In brani come Life Burns si percepisce una nota di indie pop alla The Wake che va sempre più crescendo grazie ad accordi surf rock e melodie di tastiere tipiche del gruppo. Dal minuto e mezzo in poi la canzone prende un’altra piega, proponendoci una lunga cavalcata che verrà poi spezzata a metà brano per poi procedere sempre più velocemente al finale. Non si poteva scegliere un titolo più azzeccato per questo pezzo.
Impossibile che non rimanga impressa No More Tears. Più elementi donano a questo pezzo un certo spessore: la voce riesce ad avere la sua parte in quanto molto più sincera e profonda rispetto a quella di molte altre band simili e le chitarre comunicano benissimo tra loro. La solista riesce a rafforzare il brano con un riff finale che andrà poi a dissolversi insieme al basso e alla batteria, le quali, accomunati alle tastiere simili a quelle dei Beach House, accompagnano perfettamente il tutto.

In conclusione, i Brothers in Law hanno tirato fuori un buonissimo album, influenzato da diversi generi e dalla forte emotività. Un secondo capitolo giusto in quanto differente dal primo e non di certo inferiore.

Tracce consigliate: No More Tears, Life Burns