La figura di Luca Guadagnino è entrata prepotentemente nel panorama cinematografico mondiale grazie all’uscita di Call Me By Your Name nel 2017. Il film, infatti, ha rappresentato la cartina tornasole nella carriera del regista italiano: una pellicola che ha ricevuto il plauso del pubblico, conquistato un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura (e, anche, una candidatura a Miglior Film) e avuto il merito di trasformare Timothée Chalamet in uno degli attori più ricercati e quotati di tutta Hollywood.

Era normale quindi che We Are Who We Are – la prima prova televisiva di Guadagnino – fosse vista, fin dal suo annuncio, con particolare curiosità e interesse. Da una parte perché vedeva il coinvolgimento di un mostro sacro della serialità contemporanea come HBO (in collaborazione con la nostra Sky Atlantic), dall’altra perché la mini-serie sembrava aver più di un punto in comune con Call Me By Your Name. E così, settimana scorsa, la prima (e, al momento, unica) stagione è arrivata a conclusione dopo 8 episodi.

Com’è la serie?

La serie è stata particolarmente apprezzata dalla critica in patria che, come detto sopra, ha trovato più di una similitudine con Call Me By Your Name. Innanzitutto Fraser, il personaggio interpretato da Jack Dylan Grazer (già visto nell’ultimo It), non appare così diverso dall’Elio di Chalamet. Attraverso i suoi occhi e le sue esperienze, Guadagnino si vuole nuovamente focalizzare sulla scoperta di sé, sul desiderio e sull’identità sessuale in età adolescenziale. Se nel film, però, l’attenzione era riservata all’amore tra i due protagonisti, in We Are Who We Are verte maggiormente sulla messa in discussione e sulla (ri)scoperta del proprio io e del proprio genere. In quest’ottica può essere osservato il ruolo della co-protagonista Caitlin (Jordan Kristine Seamón): la ragazza – che stringerà immediatamente amicizia con Fraser – inizierà infatti a farsi chiamare Harper e attraverserà una fase di profondo cambiamento, mettendo in dubbio tutte le certezze fin lì acquisite.

A fare da cornice alle vicende di Fraser e Caitlin è – e qui riscontriamo un altro punto di convergenza con Call Me By Your Name – l’ambientazione italiana. Guadagnino e il suo team mostrano una cura quasi maniacale nei confronti del particolare setting: la base militare americana di Chioggia è una città nella città, un luogo fittizio in cui sono stati riprodotti nei minimi dettagli gli ambienti della comunità americana – di modo che i militari (e le loro famiglie) che vi abitano possano ritrovare una sorta di continuità con la terra natale. Una volta varcate le soglie della base, anche gli spazi esterni ad essa presentano la medesima cura: c’è tanta italianità nell’arco degli 8 episodi di We Are Who We Are e non deve quindi stupire vedere sullo schermo insegne dell’Eurospin e contenitori di Tarvernello, baretti di paese con gli anziani che giocano a carte e improbabili abitudini dialettiche tutte italiane (“Se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo”).

La musica come strumento narrativo

Se si parla di cura dei dettagli è impossibile tralasciare la colonna sonora: le musiche originali di We Are Who We Are sono firmate Devonté Hynes, in arte Blood Orange, e sono parte integrante del percorso di crescita di Fraser e Caitlin.

L’originale score contiene 12 brani inediti composti, per l’occasione, dallo stesso artista e produttore britannico e 4 di Julius Eastman e John Adams. Si tratta di composizioni in cui il pianoforte fa da protagonista, seppur con leggere infiltrazioni di sintetizzatori, e che – come spesso accade nelle colonne sonore – fin dal titolo racchiudono un pezzettino di trama. Ed è così che la delicatezza con cui vengono pizzicati i tasti del pianoforte scandisce alcuni dei momenti chiave del racconto e le emozioni provate dai personaggi: dalla scoperta del proprio corpo alle sensazioni di solitudine, lutto, felicità e, anche, amore.

A fianco di queste composizioni originali troviamo, inoltre, anche molte canzoni pop sia di artisti internazionali sia di altri nostrani – selezionate dallo stesso Guadagnino. Un esempio? Nel primo episodio iniziamo a fare la conoscenza di Fraser e in una scena il giovane, intento a peregrinare fuori dai cancelli della base alla scoperta del paese, incontra una coppia di signori. I due molto gentilmente gli offrono il già citato Tavernello, mentre dallo stereo partono le note di A lei di Anna Oxa e il ragazzo inizia a ballare dimenticando completamente il mondo circostante per tre minuti.

Anna Oxa non è l’unica artista italiana che è possibile ascoltare negli 8 episodi: c’è, ad esempio, l’it-pop con i portabandiera Calcutta, Cosmo e Francesca Michielin. Ma sullo schermo fa incursione anche qualche classicone come quando, in una scena ambientata in un lido veneto, i teenager americani danzano con Self Control di Raf in sottofondo. Guadagnino riesce a dosare abilmente, anche nella soundtrack, questo mix tra Italia e USA. Mai, però, ci saremmo aspettati di ascoltare il folle punk di Emilia Paranoica dei CCCP – Fedeli alla Linea posizionato tra Nikes di Frank Ocean e Alright di Kendrick Lamar. Eppure, accade durante uno dei momenti più provocatori e di maggior impatto della mini-serie: un momento volutamente esagerato in cui i protagonisti danno libero sfogo a tutto ciò che sentono dentro e, per questo motivo, la scelta di brani così agli antipodi non fa altro che accentuare ancor di più la sensazione di straniamento nello spettatore.

La colonna sonora di We Are Who We Are è anche particolarmente ancorata alla contemporaneità e, di conseguenza, non può mancare tanta black music: mentre sullo schermo vediamo Fraser, Caitlin e gli altri, nelle nostre orecchie possiamo ascoltare il gospel in Same Drugs di Chance the Rapper, l’assolo di chitarra in Devil in a New Dress di Kanye West e Rick Ross, la voce di Kehlani in Bright e il duetto tra Drake e Nicki Minaj in Make Me Proud. Ma c’è veramente di tutto, con delle scelte che spaziano dagli Smiths ai Radiohead, da David Bowie al pop ammazza-classifiche di Lady Gaga.

It is what it is

We Are Who We Are – a differenza di molte altre serie – non presenta un’opening credit, ma se dovessimo sceglierne una sarebbe sicuramente Time Will Tell di Blood Orange. La canzone – contenuta nell’album Cupid Deluxe dell’artista britannico – è molto più di un semplice accompagnamento, in quanto riveste un ruolo chiave all’interno del racconto narrato da Guadagnino: la sentiremo, infatti, in ben 4 degli 8 episodi e scandirà il percorso di crescita e di ricerca di identità dei due protagonisti – e, da questo punto di vista, le liriche lo spiegano meglio di qualsiasi altra cosa:

Time will tell if you can figure this and work it out

No one’s waiting for you anyway so don’t be stressed now

Even if it’s something that you’ve kept your eye on

It is what it is

Le parole di Time Will Tell sono quasi un mantra che ci tiene compagnia per tutta la stagione; nell’episodio 6, addirittura, Fraser e Caitlin faranno la loro personale versione del video originale del brano, in quella che appare più come una fantasia, un segmento distaccato dal resto della storia. Il cerchio intorno a Time Will Tell arriverà, poi, a una chiusura nell’ultimo episodio quando [SPOILER] i due ragazzi raggiungeranno il Locomotiv Club di Bologna per assistere al concerto proprio di Blood Orange; concerto che – peraltro – ha avuto realmente luogo nel 2016, anno in cui è ambientata la serie, e che è stato ricreato fedelmente sullo schermo con lo stesso artista come guest star (ancora una volta, quindi, la cura di Guadagnino ai particolari anche più insignificanti).

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based on the original music video by devonté hynes

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Insomma, in We Are Who We Are c’è una colonna sonora veramente ampia e variegata. Vengono esplorati tanti differenti generi: it-pop, punk italiano, hip-hop, R&B, rock e la lista potrebbe andare avanti all’infinito. Se in altri prodotti anche cinematografici l’utilizzo di canzoni pop era apparsa puramente come una scelta per sembrare fighi (sì Suicide Squad, sto parlando con te), nella serie HBO è parte integrante del racconto. Non essendoci una reale trama, Guadagnino utilizza la musica come un vero e proprio strumento narrativo: è il cuore della storia attorno cui ruotano i destini dei personaggi e l’epilogo girato al Locomotiv Club è lì a sottolinearcelo. In definitiva, We Are Who We Are narra una storia che non va solamente guardata con gli occhi, ma va soprattutto ascoltata. Poi, inizierete anche voi a sentire Emilia Paranoica in maniera differente.

Poco più in alto trovate la playlist di Spotify creata da HBO che comprende sia la OST di Devonté Hynes, Julius Eastman e John Adams sia alcuni brani non originali. Di seguito, invece, la soundtrack ufficiale, contenente anche tre brani di Blood Orange registrati al Locomotiv Club di Bologna. Buon ascolto e buona visione!