Un uomo, un cane e un dolore che non andrà mai via: o impari a conviverci, o la fai finita.

Questo è il punto di partenza di After Life, la serie tv scritta, diretta e interpretata da Ricky Gervais, disponibile su Netflix e da poco giunta alla seconda stagione. Dodici episodi in totale, ognuno della durata di circa mezz’ora; pochi personaggi, ma ognuno contenente un’infinità di storie; pochi luoghi, ma ognuno un mondo a sé, dentro cui vige un codice espressivo specifico. Mi sono chiesto alla fine: cos’è After Life? Senza sicuramente pretenderlo, After Life è una grande lezione di vita e di umanità – una lezione anticonvenzionale che supera i confini del dramma e della commedia, per fare i conti con ciò che di più bello e di più brutto la vita può riservare, restando pur sempre vita.

Tra amore e lutto

After Life mescola commedia e dramma, e allo stesso modo salda tra loro l’amore e il lutto. Tony è il risultato di questi due elementi contrari: un uomo che sta vivendo una vita triste dopo una vita felice; una vita di lutto dopo una vita di amore. La perdita della moglie Lisa, scomparsa a causa del cancro, è stata per lui una morte sentimentale; ne è conseguita una chiusura totale dei suoi aspetti più umani. Tony è cinico, arrabbiato, disilluso e intrattabile. Ha perso ogni filtro e ogni impulso positivo. L’unico accenno di umanità c’è soltanto quando si immerge nei ricordi sul portatile, quando rivede, in solitudine, i video che ritraggono Lisa e i momenti felici (e anche drammatici) che hanno vissuto insieme. After life è un’espressione che indica qualcosa che c’è dopo la vita, o meglio: indica che vita c’è dopo la morte. A morire, letteralmente, è stata Lisa; ma con lei se ne è andata la felicità di Tony, e in entrambe le stagioni della serie comprendiamo bene che per Tony vita, felicità e relazione sono tre termini che vogliono intendere la stessa cosa: se ne manca uno, non esistono nemmeno gli altri. “Una relazione è vita”, Tony ne è convinto. Così come è convinto che una vita felice dipenda dalla presenza della persona perfetta al fianco (Stagione 2, episodio 5, alla collega Kath, molto più giovane di lui: “Un giorno incontrerai qualcuno e la vita sarà stupenda. Quindi non essere triste. Non ancora”).

Tra prima e seconda stagione

Sono caduto nella tentazione di Netflix e ho visto un film rozzo prodotto dalla piattaforma che mi compariva ovunque (Tyler Rake). Due ore di solo intrattenimento, in cui il protagonista, interpretato da Chris Hemsworth, ammazza praticamente tutti. Spara milioni di colpi con armi mostruose. Anche contro di lui sparano una quantità di colpi infinita, ma nessuno lo colpisce mai. Tutto questo accade perché ha una missione: salvare un quattordicenne, figlio di un signore della droga del Bangladesh, che è stato rapito da un mega boss rivale del padre. Pensavo che non mi lasciasse niente questo film, è così è stato. Finché però una frase non è tornata. Il ragazzino da salvare, che diventa amico di Chris Hemsworth nel film, dice di aver letto una frase su un libro che fa così: “Si affoga, non perché si cade dentro a un fiume, ma perché si resta immersi sott’acqua”. Sì ok, rileggendola non dice granché perché è una frase fatta, eppure nel film funziona; e funziona anche altrove. Netflix è un circolo vizioso: questa frase mi ha offerto la chiave di lettura per comprendere meglio After Life.

In questo senso, nella prima stagione di After Life posiamo gli occhi solo sull’apnea di Tony (la caduta la sappiamo: la morte di Lisa) e sul suo percorso per riemergere e riprendere un po’ di fiato. Nella seconda invece, la serie diventa una gara di tuffi con tanti partecipanti. Le due stagioni di After Life sono complementari perché l’ultima è lo sviluppo naturale e equilibrato della prima. Nei primi sei episodi assistiamo alla lenta detonazione dell’istinto suicida di Tony. Al suo lento recupero (molto parziale e molto dark humour) di umanità. Accettare la vita (triste) dopo la vita (felice): questo è il tema della prima stagione, e il motore principale perché questo avvenga, è la gentilezza delle persone che circondano Tony – una gentilezza molto bizzarra, come tutto il resto, d’altronde, a Tambury. Se la prima stagione dice che si può vivere un’altra vita, nella seconda stagione si delinea invece il modo in cui comportarsi in questa nuova vita (e “cercare di essere più zen” non è una buona soluzione…). Il dramma di Tony non contiene tutti i drammi del mondo; lo capisce Tony personaggio, perché lo capisce Gervais, che sviluppa la trama della serie in una ramificazione di storie secondarie, storie che Tony è in grado di ascoltare, di comprendere e – cosa impensabile nella prima stagione – di compatire. La traiettoria delle dodici puntate è tutta in salita. Le prime sei sono la preparazione dell’altra metà; la voce di Tony è stata utile per sprigionare le voci, più o meno assurde, degli altri protagonisti della serie. E in questa polifonia, Tony ha un ruolo: sì, Tony capisce di avere ancora un ruolo nel mondo.

Essere umani

In due stagioni, tra sorrisi di ogni natura e lacrime, Ricky Gervais vuole insegnarci, proprio come il bambino del film rozzo sopracitato, che si muore affogati perché non si trova il modo di riemergere. Il cinismo della sua comicità, che abbiamo conosciuto grazie ai suoi spettacoli sul palco, si sublima in After Life. L’artista ha un messaggio comune di fondo in ogni espressione della sua scrittura, un messaggio sempreverde, che troviamo agli albori dell’intrattenimento letterario moderno: “umana cosa è aver compassione degli afflitti”. Questo è l’incipit del Decameron, ma potrebbe essere l’incipit di ogni espressione di Ricky Gervais, nascosto sotto il tappeto della sua crudele comicità. Il suo umorismo nero e fuori controllo è infatti un movimento profondamente umano tra gli opposti della vita – tra la vita rimasta ormai nella memoria del pc di Tony, cicatrizzata nel suo cuore, e quella nuova nella quale annaspa, in After Life. Si può guarire da questa complessità? Si può essere felici per sempre? No, secondo After Life non si può: una volta caduti nel fiume, non si può tornare sulla terraferma. Però ecco, in maniera molto onesta, questa serie tv ci lascia una soluzione più reale, e meno utopistica: “Forse non ti piace vivere, ma rendi il mondo un posto migliore”. E questa, in fondo, è la grande lezione di umanità che ci trasmette Ricky Gervais con After Life.

[Un consiglio in p.s.: chi scrive non è un fanatico dei film in lingua originale. Li vede tranquillamente doppiati. Però, in After Life, si perderebbero tante cose belle se non si ascoltasse la voce originale di Ricky Gervais. Per metà siete obbligati se decidete di vederla ora, perché la seconda stagione non è ancora disponibile con audio in italiano. Magari anche proprio per questo, provateci.]