SPOILER ALERT: quello che state per leggere è un articolo piuttosto lungo e serio, ma è giusto spendere più di due parole su un argomento che tanto ci sta a cuore.

Nel corso del tempo Deer Waves ha prestato una certa attenzione al Radar Festival, evento che negli ultimi tre anni ha reso Padova una tappa fissa per gli amanti della musica e, soprattutto, dei bei concerti.
Recentemente, tuttavia, l’attenzione si è concentrata sul Radar per ragioni che non definiremmo propriamente piacevoli.

Proviamo a capire cosa è successo: l’amministrazione comunale della città che ospita il festival ha ritenuto opportuno attuare una serie di blitz e sopralluoghi durante i primi giorni della manifestazione. Sarebbero dunque emerse quelle che sono state presentate come enormi, gigantesche lacune nella sicurezza. Qui potete leggere l’articolo de il Mattino di Padova che riporta la notizia.
Già da questo episodio qualcosa sembra non quadrare: da piccoli dettagli come il riferimento a fantomatiche sedie (perché, i concerti al Radar si guardano seduti? Da quando?) a questioni ben più macroscopiche come la presunta mancanza di permessi e le tempistiche.
Bisogna osservare che un festival come questo non si mette in piedi dalla sera alla mattina, per cui pare un po’ strano che nessuno abbia sollevato alcun tipo di questione se non a festival iniziato e, soprattutto, che ammesso e non concesso che il Radar non avesse i permessi necessari, l’amministrazione dice di avergli dato un giorno per mettersi in regola… sì, e in quale universo ventiquattro ore possono essere considerate sufficienti?

Ma ecco arrivare il comunicato stampa del Radar a mettere un po’ di luce sulla questione: potete leggerlo qui e le parole dell’organizzazione non hanno bisogno di troppi commenti,  a parte forse una quanto mai scontata considerazione su quanto dispiaccia vedere un evento di tale portata prendere l’amara decisione di fare i bagagli e lasciare la città in cui è nato per via di un’amministrazione che ha reso l’espressione “mettere i bastoni fra le ruote” un eufemismo.

Questa mattina, sempre da il Mattino di Padova, arrivano gli ultimi sviluppi della faccenda, che consistono in alcune dichiarazioni di Maurizio Saia, assessore alla Sicurezza della nuova amministrazione. Prima di invitarvi a leggerle qui, vogliamo avvisarvi che (SPOILER ALERT) la concentrazione di cazzate scritte in questo “articoletto” è rivoltante.
Tralasciando gli errori grammaticali (il congiuntivo, come la matematica, non è un’opinione), si parla di concerti all’aperto che, nella giornata del 26 luglio, non ci pare siano avvenuti  poiché, guarda caso, il maltempo aveva costretto l’organizzazione a trasferire il festival all’interno Circolo MAME di via Frà Paolo Sarpi. A tal proposito, ci piacerebbe capire quali appartamenti abbia visitato il buon Saia, dato che per qualcosa come i tre quarti del suo perimetro il MAME è circondato soltanto da spazi aperti (una rotonda, un parcheggio, il parco dove si svolge normalmente il Radar).

Tutta questa faccenda riporta alla mente la vecchia storia dell’homo homini lupus, secondo cui la natura umana è fondamentalmente egoistica e perciò, nelle sue azioni, l’uomo è guidato dall’istinto di sopravvivenza e da quello di sopraffazione (nella sua visione più hobbesiana). Sembra che, in questo particolare contesto, sia quanto mai naturale identificare l’amministrazione padovana con un lupo, che invece di cercare un confronto anche solo vagamente civile ha preferito fottere l’organizzazione del Radar nel modo più meschino. Anche perché, ragazzi, nella peggiore delle ipotesi, di penale si parla.

In conclusione, ci sembrava dovuto spendere qualche parola su questa faccenda e non abbiamo la presunzione di credere di avervi ispirato chissà quale riflessione al riguardo, ma ci piace pensare di esserci riusciti. L’Italia è uno di quei paesi in cui la musica dal vivo è perennemente sul filo del rasoio ed è una situazione di cui si parla davvero troppo poco.
Nel 2014 sarebbe quasi ora di capire che la strada dell’homo homini lupus non porta da nessuna parte (anche se, probabilmente, è l’unica strada che è in grado di percorrere chi non vede molto al di là del proprio naso). Bisogna essere davvero ciechi e sordi (e scemi) per non capire cosa comporta – in termini di guadagni per tutti – un evento del genere.
Nell’esprimere tutta la nostra solidarietà al Radar e alla sua organizzazione, continuiamo a sperare che prima o poi le cose possano cambiare e gli occhi di tanti possano aprirsi e vedere, finalmente, quanto sarebbe meglio incoraggiare eventi del genere piuttosto che cercare di distruggerli.
Ad oggi, spiace soltanto che il Radar abbia dovuto pagare il prezzo di tanta chiusura e speriamo che possa presto trovare una casa più accogliente e pronta ad ospitarlo nel 2015.