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Gli amanti delle serie tv avranno sicuramente accolto l’arrivo di Netflix in Italia con somma gioia: binge-watching in HD, un mese gratis di prova e soprattutto la fine dei messaggi privati su Facebook da parte di ventenni che usano l’internet peggio di mia madre che suonavano più o meno così:

“Ciao! Mi manderesti il link per lo streaming dell’ultima di The Walking Dead/Gossip Girl con i sottotitoli? Grazie :)”.

Dopo un avvio abbastanza timido, con un ventaglio di titoli che seppur dignitoso non spiccava per audacia, le prime belle sorprese non hanno tardato ad arrivare. Tra queste troviamo sicuramente Master of None, serie autoprodotta da Netflix e sbarcata sul palinsesto lo scorso 6 novembre, contemporaneamente agli Stati Uniti.
Il protagonista, interpretato dall’attore/comico Aziz Ansari ricorda in molti aspetti un Tom Haverford di Parks and Recreation.

Dev, questo il nome del protagonista, è un giovane attore in una New York multiculturale e multietnica alle prese con le dinamiche relative alla transizione verso una vita adulta e stabile: il lavoro, cosa fare della propria vita, i dilemmi rispetto all’avere una relazione stabile e duratura, lo scendere a compromessi con sé stessi per cercare di accettarsi veramente. La serie (sono dieci puntate in tutto) è infarcita di riferimenti pop e alla web culture dei millenials, chiaramente il target primario, ma riesce ben presto ad affrancarsi dal marchio di serie piaciona anche grazie al tocco ironico e delicato con cui vengono affrontate temi come la disparità dei sessi, la discriminazione razziale e la vita quotidiana degli immigrati di seconda generazione, cittadini americani a tutti gli effetti che spesso faticano a rapportarsi con una cultura a loro sconosciuta e aliena ma allo stesso così familiare come quella di origine.

Un discorso a parte però lo merita la colonna sonora, selezionata da Zach Cowie e dallo stesso Ansari. Diciamo che da una serie che prende il nome da una canzone dei Beach House qualcosina ce lo potevamo aspettare, ma i due sono riusciti ad andare oltre alle aspettative. Oltre ai già citati Beach House compaiono Brian Eno, Aphex Twin, Spandau Ballet, Todd Terje, Giorgio Moroder, i Cure, gli Zombies… Insomma, ci siamo capiti.

La colonna sonora riesce così a fare da fil rouge attraverso le puntate, dando alla serie un senso di completezza e unità che altrimenti verrebbe a mancare, dato che a livello di trama gli episodi sono abbastanza frammentati, se non forse per la storia d’amore tra Dev e la sua ragazza Rachel. I tocchi di classe poi non mancano: Africa dei Toto sparata sotto al montaggio di una serata al bar, Don’t Worry Be Happy che fa da sottofondo a due personaggi maschili che tornano a casa la notte (in contrapposizione a quanto invece accade alle ragazze), un cameo di Father John Misty, che appare suonando Chateau Lobby #4  ad un secret party al quale Dev porta una ragazza, senza parlare di altri momenti gustosi a sfondo musicale che però non vi vogliamo rovinare.

La playlist completa la potete trovare qua sotto, direttamente dalle mani degli autori, e la serie si trova in streaming integrale su Netflix.

Cosa state aspettando quindi?