maxresdefault

57 candeline spente lo scorso 21 Aprile per Robert Smith, il frontman dei The Cure, la band che ha fondato nel 1976 e di cui è rimasto unico componente della formazione originale sino ad oggi.

Eclettico sin dagli esordi con un look goth che ne è divenuto tratto inconfondibile (taglio di capelli cotonato e scompigliato, lunghe camicie nere, rossetto rosso e matita sugli occhi), Smith è un artista completo che ha fatto melodia della propria sensibilità e comprensione del mondo, sapendo equilibrare la delicatezza della propria voce ad atmosfere cupe ed intriganti.

I Cure sono in attività da quasi quarant’anni, guidando l’esplosione della new wave e rappresentandone le derive più dark, al pari di Joy Division, Siouxsie and the Banshees (con cui, per altro, lo stesso Smith ha collaborato agli inizi della propria carriera), Echo and the Bunnymen. All’apice del successo fra la metà e la fine degli anni Ottanta, non si sono lasciati andare, pur avendo perso il 90% dei componenti storici. Il merito va a Smith, che non ha abbandonato una band che è il suo alter ego, intergenerazionale, di quelle i cui vinili vengono trasmessi ereditariamente di padre in figlio.

Oggi vogliamo renderle onore con una top ten (+ 5 bonus) dei successi più intensi, e non è stato facile scegliere solo queste.

10) Pornography

Tratto dall’omonimo album del 1982, il brano è la diretta espressione della sofferenza avvertita dal gruppo in quel periodo, segnato dall’abuso di droghe ed alcol e dalla depressione di Smith. Un pezzo tetro, complesso, viscerale, parte di un disco rivelatosi molto apprezzato dal pubblico -ma non dalla critica-, quasi a gratificare lo sforzo infuso nel voler esorcizzare il dolore componendo e suonando.

9) Play For Today

“It’s not a case of doing what’s right. It’s just the way I feel that matters. Tell me I’m wrong. I don’t really care”. A Smith di piacere e compiacere non è mai importato nulla. Lui è quello che è, quello che prova, prendere o lasciare: il resto è indossare una maschera e recitare il proprio ruolo nel teatro quotidiano. E siamo solo nel 1980.

8) Inbetween Days

Classicone à la Cure, chitarre e tastiere, estratto dall’album The Head On The Door. Nel video, un’entusiasta Smith che corre attorno al gruppo alternando sequenze a tinte psichedeliche e deformazioni del volto ad uno sfondo black and white. Pezzo bellissimo, ragazzi.

7) Let’s Go To Bed

Pornography era stato un LP estremamente oscuro, cui il gruppo avrebbe rimediato con il successivo Japanese Whispers del 1983. Volontà esplicita era, infatti, quella di non lasciar associare i The Cure esclusivamente a toni tenebrosi e tematiche malinconiche, risollevandone le sonorità e abbracciando qualche sfumatura pop: il risultato è questa, divenuta famosissima, traccia.

6) Grinding Halt 

Three Imaginary Boys segnò il brillante debutto dei Cure: un trio, come intuibile dal titolo scelto, dall’iniziale approccio post-punk, contrario alle logiche dei produttori discografici da cui, per i lavori successivi, si sarebbero allontanti (la copertina del disco raffigura scarnamente tre elettrodomestici, fortemente voluta dal producer Chris Parry e ripudiata dal gruppo). Grinding Halt è un brano scandito nel testo e nella musica, irresistibilmente, va ripetuto, punk.

5) A Forest 

A Forest, un capolavoro cui non si potrebbe contraddire neppure una nota. Questo pezzo è evocativo, sensazionale nel saper spegnere la luce e lasciare procedere la mente; un uomo cerca una ragazza in un bosco, ma non riesce a raggiungerla poiché lei non è lì. Una ricerca nella natura, ancora una volta, scura e coperta dalla foschia, sul sottofondo di un basso costante che fa da guida.

4) Just Like Heaven

Una canzone d’amore straordinaria, composta da Smith in onore di colei che sarebbe, poi, divenuta sua moglie. Dall’album Kiss Me Kiss Me Kiss me, è uno dei maggiori successi del gruppo e non vi è dubbio sul perché.

3) Lullaby

Signore e signori, vi presentiamo la storia. Lullaby è una nenia inquietante, dalle memorie di uno Smith bambino terrorizzato dalle cantilene paterne per farlo addormentare. Si sono succedute le più disparate interpretazioni del brano, allegoricamente associato alla tossicodipendenza del frontman o ai suoi più profondi timori. Lullaby racchiude tutto in sé, l’ansia che ti assale al calar della sera ed i demoni che ti porti appresso, raffigurati da un gigantesco ragno da cui Smith, al termine del video, viene ingoiato.

2) Boys Dont’ Cry

Se non la conosci hai saltato qualche step nell’educazione musicale. Questo pezzo è una bandiera, un inno contro la comune convinzione per cui i veri duri non dovrebbero piangere mai. Hai commesso un errore, hai sbagliato tutto e forse compromesso qualcosa che non potrai riavere, ma ci ridi su, perché mostrarsi vulnerabili vuol dire scoprirsi, e tu non vuoi essere visto come un debole. Geniale anche l’intuizione visiva di tre bambini, ad impersonare i membri del gruppo, suonare dinanzi ad un telo su cui sono proiettate le ombre degli effettivi componenti della band.

1) Close to me

“I never thought tonight could ever be this close to me”. Un riadattamento di una marcia funebre di New Orleans, eppure uno dei pezzi più vivaci dei The Cure. L’attesa di qualcosa che desideri moltissimo, tanto da averne fatto una malattia. L’intensità delle sensazioni è vivida, Smith trasmette le sue agitazioni interiori rendendole universali, esprimendole con una semplicità disarmante e, al contempo, elegantissima. Difficile scegliere, fra tutte, la traccia più bella di una classifica, ma pensando alla storia dei Cure, un’opera simile non può non godere di un riconoscimento.

BONUS TRACKS: Concedetecelo, si può dire che siano così belle da esser fuori gara.

  • Friday I’m In Love

  • Lovesong

  • Disintegration

  • Fire In Cairo

  • The Same Deep Water As You