Fulmine a ciel sereno – modo di dire che ben si accorda col suo nome: arriva all’inizio del 2019 una bella sorpresa, improvvisa, tra le file di Maciste Dischi. Si chiama Fulminacci, classe 1997 e il suo esordio, anche solo a livello iconico per la copertina del singolo, poteva essere frutto di un malinteso.

Già, perché il timore era quello di ascoltare qualcosa che poteva aggiungersi alla folta schiera, ormai, del club “uno dei tanti”: un primissimo piano di occhiaie amaranto appartenenti all’artista, occhiaie dello stesso colore della polo che indossa. “Ecco”, si poteva pensare, “eccone un altro con la chitarrina e il synth a offrirci l’ennesimo stantio impasto di musica mediocre e melensa, intento a farfugliare – virtualmente – amori sfigati dai quali è uscito sconfitto.” Ma poi si schiaccia play e si capisce che no, Fulminacci di melenso non ha niente, tanto meno il potenziale “va a cagare” che ci si merita solo per averle pensate, certe cose.

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@fulminacci ⚡️9 gennaio.

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Una chitarra acustica energica, scattosa e nervosa introduce un fiume in piena. Tali sono Fulminacci e il suo primo singolo Borghese in borghese: una scoscesa tempesta di parole, parole, parole, tutte governate da un fraseggio eccezionale e ricamate da espedienti di suono e retorici fittissimi.

Una canzone in piena, che tratteggia un giovane cantautore incazzato e incoerente, o meglio: incazzato perché incoerente, rinchiuso da vent’anni in un mondo di apparenze (e incoerenze). Un borghese in borghese, appunto, uno felice di essere “una statua di bronzo così che possa fondermi / Con la tua faccia da stronzo che uso per difendermi”; un cantautore che “Io canto ma non è che, non è che canto proprio eh“; uno fiero di non essere parte della “periferia inflazionata“, che tiene a non farsi immortalare dalle polaroid, che non crede nei luoghi comuni, che non cede all’automatica, romantica estasi per la bellezza delle stazioni.

Un ragazzo che non sa bene come spiegare dove abita, “Grande Raccordo Anulare, uscita 33“, dove “ci sono più buche che asfalto / e ogni tanto i lampioni si accendono come d’incanto“. Uno che sembra un Willie Peyote e un Daniele Silvestri, uno che riecheggia, dal passato, la spietata ironia di Gaber e Gaetano, che lascia da parte l’amore e preferisce incazzarsi, forse perché, a giudicare dalle borse sotto gli occhi, non dorme, o forse perché, sempre gli occhi, li ha alzati e si è guardato un attimo intorno.

Insomma, sappiamo che prossimamente c’è un nome da tenere d’occhio: è Fulminacci, uno consciamente incoerente e inacidito, uno che

Sono vent’anni che ci sono ma non sono nessuno
Sono dieci anni che suono, sono tre anni che fumo
Sono tre giorni che ho sonno, sono tre docce che sudo
Questo lo so però non so se ho messo il sale nel sugo
Sono sicuro di sì, però non voglio assaggiare