Pica

Il pop è un mercato e la musica è un prodotto, il suo fine è quello di vendere e su questo non ci sono storie. Quando però ci si scorda che si sta pur sempre facendo della musica, allora si arriva ad un punto in cui bisogna forse fermarsi un attimo e provare a capire se tutto funziona correttamente.

Ecco che l’ultimo video di Avril Lavigne appare un ottimo spunto per riflettere su che cosa sta succedendo alla “musica che passano alla radio”.

Lei la conosciamo e sappiamo anche si è sempre imposta come la tipa con la chitarra un po’ rock ma piena di glitter e teschi rosa; e per qualche momento la cosa ha pure funzionato. La sua “Girlfriend”, accompagnata da un idiota ma innocuo video, era radiofonica nel senso più commerciale del termine. Ora siamo però davanti ad un prodotto effettivamente brutto, al limite del cacofonico. E non brutto per il fatto di vedere una trentenne che ancora finge di averne 16 (Madonna docet), quanto per la canzone in sé e per sé: un pot-pourri di inflazionate strizzatine d’occhio al mondo del vocoder giapponese e un massiccio uso dell’EDM con i suoi bass drop.

Il risultato? Imbarazzante.

Quello che semplicemente potrebbe essere etichettato come il canto del cigno di una piccola stella ormai decaduta (e quindi un qualcosa di totalmente ininfluente all’interno del pop che conta) acquista maggiore interesse nel momento in cui diventa sintomo evidente di un problema del mercato di cui fa parte.  Avril non è la prima che incappa in questo errore, si pensi all’ultimo disco di Kylie Minogue, o agli ultimi singoli delle vere popstar macina-soldi, con una curva della qualità in rapidissima discesa (Katy Perry e Lady Gaga su tutte).

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Oramai con la tempistica di internet la musica si muove sempre più velocemente e la moda assume sempre più la sua definizione di “momentaneo”, per cui sembra si stia imponendo l’attitudine del collage sonoro alla bell’e meglio. Nel pop non si inventa nulla, bisogna solo attingere dall’immenso mercato musicale e trovare l’idea che venda. Il sound dei primi anni del duemila l’hanno definito Bob Sinclair e David Guetta condendo il canovaccio “strofa-ritornello” di cantanti rap e basi house.

I due re mida di un tempo hanno lasciato spazio a Steve Aoki ed Avicii che sono gran summa del gran macello che si sta combinando: la già satura canzonetta da radio è stata farcita di contaminazioni dubstep, che si sono trasformate in trap, a cui si sono aggiunte punte progressive-house e cafonate varie.

È a questo punto che la cosa sembra essere sfuggita di mano. Ogni idea è buona e vendibile nel suo singolo, ma quando si hanno troppi spunti non si riesce a dare una forma definita al tutto. Sembra che i produttori stiano provando a rifilare un mix di idee raffazzonate, come a far contenti tutti, andando a nuocere sulla qualità delle canzoni in circolazione. A forza di rifilare musica bruttina, c’è il rischio che la gente si stufi e soprattutto, non compri. La cosa potrà continuare a funzionare nei prossimi mesi ma sembra sempre più necessario cominciare a limare un po’ il gusto e puntare ad una sonorità che possa essere più facilmente identificabile e soprattutto ascoltabile.

Su questo versante c’è chi dice che l’attuale electro-pop porti di rinculo alla pacatezza e all’accessibilità, si veda per esempio l’improvvisa comparsa in gioco di Lorde o la continua presenza in classifica di Pharrell (i Daft Punk ci avevano visto lungo). Al pupillo della nuova onda anni ‘80 diamo però ancora un altro singolo spacca classifiche, poi non oseremmo puntarci oltre, sul lungo periodo.

E quindi, che rimane?

Qua ci sbilanciamo su un’ondata di garage inglese che già sta avendo successo in patria. I Disclosure e affini che tanto hanno fatto parlare di sé, potrebbero aver dato il la a quello che sarà il sound nei prossimi tempi dato che già spuntano emuli come funghi. Per cui  chissà che l’ennesimo album di Rihanna, l’estrema sintesi della moda del momento,  non suoni prima o poi come qualcosa del genere: