Il Festival di Sanremo 2019 è (s)fortunatamente finito. Oltre a una marea di inutili e sterili battibecchi (politici e non), ciò che ci portiamo a casa è il trionfo a sorpresa di Mahmood con il brano Soldi, davanti a Ultimo e Il volo.

Ora che la marea si è calmata, abbiamo deciso di fare un riassunto dei nostri pensieri a freddo tra sorprese, delusioni e considerazioni in ordine sparso.

La vittoria classificatoria di Mahmood

Ha sorpreso tutti il direttore artistico Claudio Baglioni, quando senza creare troppa suspense ha annunciato Soldi di Mahmood brano vincitore di Sanremo 2019. Nessuno se lo aspettava soprattutto perché vicino a lui c’era lo stragrande favorito Ultimo. Ma cosa ci vuole dire la vittoria di Mahmood, non votatissimo da casa (come non lo fu nel 2012 a X-Factor), ma invece portato in alto dalla giuria? In molti stanno inneggiando al colpo politico, il fendente che attraverso il festival si è voluto dare alle politiche di chiusura avanzate dal ministero degli Interni (che è portavoce di un sentimento nazionale). Ma questa storia sembra reggere poco, perché per quanto ora ogni dibattito lo si voglia virare verso questi lidi, appare un po’ debole e banalmente retorico (e per questo infatti sarà il tema più sviluppato). Risulterebbe più interessante vedere invece il lato prettamente musicale, e il principio classificatorio, in questo senso, che governa la vittoria di Soldi: con Mahmood, semmai, si può dire che la canzone italiana, il pop italiano, il pubblico italiano generalista nato dopo i tempi della ziqqurat, si stanno adagiando in una nuova zona di conforto, fatta di un tappeto sonoro che è figlio dell’esplosione trap, dell’evoluzione che l’ondata ha avuto negli ultimi tre anni, e che adesso si è cementificata in questa nuova canzone dal respiro radiofonico e dal groove coinvolgente di cui Mahmood è portavoce. Con il verdetto del sessantanovesimo festival di Sanremo, il quale premia oltre Mahmood, anche la Universal e i produttori Dardust (che ha collaborato con i Thegiornalisti, Annalisa, Fedez, Mengoni) e Charlie Charles (producer storico di Sfera Ebbasta e Ghali e principale artefice del suono del nuovo pop italiano), si è voluto comunicare che più dell’identità culturale dell’artista, ad assestarsi nel panorama nazionale è una nuova identità di canzone.

Quali santi in paradiso ha Nigiotti?

Che sia prerogativa e movente primo che rende urgente in una persona fare musica, lo si sa, ma in lui si vede con una intensità oserei dire imbarazzante: Nigiotti fa questo lavoro solo perscopa’. Non c’è dubbio, è ThePillsianamente inconfutabile. Che sia Nonno Hollywood o qualsiasi altra ballata melensa che ha tirato fuori di tanto in tanto nel tempo, l’unico punto a cui ogni suo prodotto verte, è quello di copulare. Si tratta di una sensazione che pervade tutto il complesso della sua proposta, dal testo alle singole parole, ai suoi sguardi, il suo look in generale. Una impalcatura artificiosa che proprio non riesce a nascondere l’unico fine a cui tende. Tuttavia resta una grande domanda: chi gli permette ancora di continuare a presentarsi su palcoscenici così grandi? Nigiotti Enrico ormai, credo, in una decina di anni si è fatto Amici, Sanremo giovani, X Factor, ha scritto brani per un film di Virzì, adesso in gara tra i big dell’Ariston. Insomma, può vantare un cursus honorum che nessun altro è stato in grado di fare, perché al massimo, di questi palcoscenici, due te se ne possono concedere, se per altro non fallisci al primo. Invece lui, fallendo su tutti i fronti, è ancora qui, a fare lo sguardo emozionato ma ammiccante su un palco ambitissimo. Perché? Chi santi in paradiso ha? Perché ancora non hanno inventato un Chi l’ha visto versione cantanti in cui lì, sì, sarebbe bello che diventasse protagonista assoluto?

L’altro pianeta di Achille Lauro

Alla fine possiamo dirlo, Achille Lauro ha partecipato ad un altra gara. Troppo distante da tutti gli altri artisti in gara. Dimostra ciò, soprattutto il suo percorso a serpentina che ha fatto all’interno degli indici di gradimento, della potenziale classifica del festival. Sembrava essere in gara per un unico obbiettivo: far sì che il ventiquattresimo posto fosse assegnato prima ancora della prima serata. Infatti, alla vigilia della manifestazione, si credeva che se tutti gli altri gareggiassero per arrivare primi, Achille Lauro lo facesse per arrivare ultimo. E ce l’ha messa tutta per raggiungere questo scopo, ma è stato talmente grande, talmente maturo sul palco (e anche fuori, vedi la consegna del tapiro d’oro da parte di Striscia), tra le esibizioni che crescevano di serata in serata e con il duetto leggendario con Morgan, che non ce l’ha fatta, è arrivato nono. Una posizione che testimonia la sua partecipazione al festival da un altro pianeta. Sul palco dell’Ariston è stato solo di passaggio, e lo ha attraversato come il serpente fa col Nokia 3310, da una parte all’altra dello schermo all’impazzata diventando sempre più grande, finché non c’entra più. A quel punto, come il gioco finisce, anche Achille lo si può trovare tranquillo sdraiato sul pianoforte, con la gamba ciondolante. Vicino a lui il premio Oscar al miglior attore non protagonista, vale a dire Boss Doms alla chitarra elettrica, ovvero il personaggio più bello di questo Sanremo.

La mancata vittoria strutturale di Ultimo

Ultimo in un anno ha creato una cattedrale. A gennaio 2018 si esibiva al Quirinetta di Roma, a luglio 2019 farà un concerto allo Stadio Olimpico. Il suo percorso artistico, passato anche per la vittoria di Sanremo giovani, è diventato una struttura di quelle giapponesi le cui notizie fanno il giro del mondo, perché pur essendo complessi artifici architettonici e ingegneristici, vengono costruite in una settimana. Ecco, per quanto riguarda Ultimo, mancava solo il taglio del nastro, il primo premio assegnato a I tuoi particolari. Eppure ha vinto Mahmood, e nel momento in cui Baglioni lo ha annunciato, credo che anche nel subconscio del primo fan del ragazzo di San Basilio, la stessa vocina che si faceva sentire fioca fioca da cinque giorni sia tornata con un tono più alto, ripetendo “questa non è la sua canzone migliore“. A forza di pensarlo tutti, alla fine si è rivelato davvero così: I tuoi particolari non è la miglior canzone di Ultimo e pertanto non ha vinto Sanremo. Il nastro d’inaugurazione non è stato tagliato e lui è parecchio incazzato.

La faccia da piagnone di Simone Cristicchi

Ti prego Cristicchi a fine esibizione non fare più la faccia da piagnone, non ti si può guardare.

L’occasione sprecata degli Ex-Otago

Sicuramente già il solo fatto di esserci stati, per gli Ex-Otago deve essere accolto come un gran trionfo. Segno che dell’ambiente musicale di cui fanno parte, sono tra i migliori. Ma pare si siano fermati qua, a valorizzare esclusivamente il fatto in sé di aver partecipato. Perché Solo una canzone va commentata col suo stesso titolo: è solo una canzone come tante che la band genovese potrebbe pubblicare un venerdì qualsiasi su Spotify. Peccato.

La lezione (di vita) di Irama

Grazie a Irama possiamo tornare a gridare più che mai un principio classico dalla valenza sempreverde: est modus in rebus, ‘c’è una misura nelle cose’. Ovvero, bisogna saper stare nel mezzo, senza eccedere fuori dai limiti, verso l’errore. Ecco, fuori dai limiti del giusto, Irama ci è partito con una sonda spaziale. Troppo troppo troppo. La ragazza con il cuore di latta è un profluvio di temi abissali che non basterebbe un romanzo di seimila pagine per sviscerarli, figuriamoci una canzone. Il ragazzo aveva già molto dalla sua parte, l’endorsement dell’universo Amici, l’endorsement delle Bimbe di Giulia De Lellis, ma niente, con quella canzone e l’intenzione di strafare, ha straperso, purtroppo.

La professionalità di Daniele Silvestri

Fa incetta di premi Daniele Silvestri, premi tecnici, che appunto vengono assegnati per la perizia, per la virtù con cui si fa il proprio lavoro. Con Argentovivo, fin dal primo ascolto infatti, si è pensato a quanto dietro un brano del genere ci sia la mano di gente competente, di professionisti veri. Daniele Silvestri oggi ha cinquant’anni e mezzo, ha portato sul palco di Sanremo con un testo straniante (su un argomento importante, di cui si parla ancora troppo poco) la voce di un sedicenne, una strofa di Rancore, la batteria in mezzo al palco a mo’ di isola di Fabio Rondanini, Manuel Agnelli. Esibizioni monumentali. Chapeau.

Una gara a chi stonava meglio

Non è semplice retorica, ma in questi giorni solo qualcuno con problemi all’udito non poteva accorgersi degli strafalcioni sul palco dell’Ariston. Dalla Bertè a Paola Turci (a tratti imbarazzante) passando per Ghemon che riesce a stonare rappando, Arisa che stecca con la febbre e la Tatangelo che attiva la modalità cringe e cerca di recuperare acapella a orchestra ferma, una volta finita la sua canzone.

Loredana Berté

Che dire? È stata la più amata sul palco. Eppure è arrivata quarta. Mentre terzo, tanto per dire, è arrivato

Il volo

le gesta 1

le gesta 2