In questi giorni in cui si sente tanto parlare di xx, Coexist, collettivi di animali, Muse e concerti dei Radiohead, ho trovato uno degli album dell’anno. Ecco, l’ho detto.
Non volevo subito sbilanciarmi così tanto e rivelare immediatamente la mia passione quasi viscerale per questo disco, ma proprio non ce l’ho fatta. È troppo più forte di me.
Ma andiamo con ordine, facciamo le cose con calma e come si deve.
Stiamo parlando di Toy, album d’esordio dell’omonima band inglese, che aveva già attirato l’attenzione della critica con singoli decisamente validi.
Quindi, hanno guadagnato tanta visibilità facendo da gruppo spalla per gli Horrors, band con cui hanno effettivamente tante affinità e punti in comune. Pensandoci bene, sembravano incarnare perfettamente lo stereotipo della giovane band inglese destinata ad essere una mera e lucente meteora, solo di passaggio in quella splendente galassia chiamata Regno Unito. Difatti, il mio approccio all’ascolto è stato abbastanza titubante, quasi temevo non avrebbero confermato, col disco, quanto di buono fatto presagire.
Così è partita la prima traccia, Colours running out, tre minuti e cinquantacinque secondi di esplosioni musicali, di turbinii melodici e scariche psichedeliche totalmente armoniche e piacevoli. Una canzone struggente, ma serena. Ho spontaneamente sorriso, gustandomi il pezzo per tre, quattro, cinque volte di fila, quasi incapace di proseguire nell’ascolto.
È poi arrivato il momento di The reasons why, che intasa l’atmosfera, ti avvolge dolcemente e con decisione, ti scorre dentro con una facilità quasi disarmante.
Disarmato. È così che ti senti quando cominciano a risuonare le note di Dead & gone e cominci a realizzare che, letteralmente, ogni canzone sembra essere più bella di quella appena finita. Nello specifico, all’inizio ci ho trovato tantissime somiglianze con Who can say degli Horros, quasi una versione più lenta e ritmata; partono poi decise la chitarra e la batteria, e i TOY ti dimostrano subito che se la cavano perfettamente anche con questo pezzo della durata di ben sette minuti e quaranta.
Arriva quindi il momento di quello che secondo me (parere assolutamente soggettivo ed emotivo) è il pezzo migliore dell’album : Lose my way. Titolo già molto evocativo, richiama stati d’animo e sensazioni poi addirittura amplificate dalla pienezza del suono del synth e dalla voce di Tom Dougall, perfetta per il testo della traccia ( “I’d never thought i’ll lose my way over you / What did i do?”).
C’è poi Drifting Deeper, con cui si arriva davvero a far scivolare la mente in meandri psichedelici sempre più densi e viscosi; segue Motoring ,che avevamo già apprezzato tempo fa. My heart skips a beat è un pezzo che ti lacera dentro, ti sconvolge emotivamente, quel “focus on an empty page” ti fa rivivere tanti momenti vissuti da ognuno di noi.
L’album, che contiene altre quattro tracce comunque molto positive, si chiude con un capolavoro intitolato Kopter. Dura praticamente dieci minuti ed è la perfetta ciliegina sulla torta. I TOY avevano già fatto benissimo: hanno voluto strafare perfettamente. Non c’è tanto da dire su questa canzone: hanno appunto chiuso un album perfetto con un pezzo stupendo.
Non c’è tanto altro da dire nemmeno sul disco: è un grande disco. Un disco profondo, intimo, a tratti morboso, romantico e malinconico.
Ascoltatelo, ma ascoltatelo come merita: succhiandone l’essenza, spolpandolo, iniettandovelo nelle vene, tenendolo stretto a voi, alle vostre orecchie e, soprattutto, al vostro cuore.