TORI AMOS
GOLD DUST – DG Deutsche Grammophon / Mercury Classics

Ci risiamo. Dopo i mitici e mai troppo celebrati Pooh, anche Tori Amos quest’anno non ha resistito agli archi e agli ottoni.

La 49enne cantautrice americana ha dato il ufficialmente il via al suo processo di precoce rincoglionimento registrando “Gold Dust”, una raccolta di 14 brani della sua discografia a lei molto cari, riarrangiati insieme alla Metropole Orchestra di Amsterdam, con cui sta anche girando l’Europa in tour.

La menopausa sta arrivando anche per lei, bellissima rossa del North Carolina, che per sentirsi ancora giovane, dopo il botox, ha deciso di far uscire questo disco che non è propriamente un best of, ma una compilation di brani significativi secondo l’artista stessa, considerando l’inclusione di b-side e varie rarità – la stessa Amos ha dichiarato: “Mi è venuta in mente l’idea di una scatola dei ricordi, una scatola sonora dei ricordi. E’ come se stessi tenendo una conversazione con 56 strumenti diversi”. 

Il disco è un ascolto piacevole per la qualità eccelsa del songwriting e per la maestosa vocalità di Tori, ma ciò che lascia davvero perplessi è il fatto che l’orchestra non aggiunga davvero NULLA di interessante agli arrangiamenti basati sul pianoforte e già ricchi di archi delle precedenti versioni dei brani. Purtroppo sono proprio gli archi ad essere stati enfatizzati dalla Metropole Orchestra, e dico purtroppo perché le canzoni non ne giovano affatto: se solo si fosse cercata un’altra strada, questo disco sarebbe potuto diventare molto più rilevante di quello che in effetti è.

Il singolo Flavor, da “Abnormally Attracted To Sin” del 2009, è la traccia di apertura di “Gold Dust”, nonché uno dei suoi episodi migliori, ricco di pathos e di lenti ma toccanti movimenti sonori; “Yes, Anastasia” viene dimezzata e “gonfiata” tanto da sembrare una perfetta sigla da lungometraggio animato Disney; “Precious Things” è stata rivoluzionata nella sezione ritmica; “Flying Dutchman” è palesemente pacchiana; “Marianne” e “Silent All These Years” riescono a mantenere intatta la loro bellezza; “Jackie’s Strenght”, “Cloud On My Tongue”, “Gold Dust” e le altre sono totalmente trascurabili rispetto alle vecchie versioni.

La domanda che inevitabilmente ci poniamo alla fine dell’ascolto è: chi mai comprerà questo album?

Probabilmente nessuno, se non i fan più accaniti.
Anche perché se non si è davvero innamorati della pianista di Newton, NC non si potrà mai apprezzare a pieno la sua pura autocelebrazione.

Tori, ti vogliamo bene, ma era davvero necessario?

5.3/10