La Svezia ogni tanto continua a sputare fuori cose eccellenti, come questo trio electropop che arriva a firmare per Sub Pop. Sia chiaro, è la cosa più frocia in assoluto che abbia ascoltato da quando è iniziato il 2k12, non è eterea manco per il cazzo e ci sono pochissimi riverberi, ma è chiaramente uno di quei dischi che ci accompagneranno fino a Natale. Essenzialmente perché è una bomba ultracatchy, così catchy da camminare spesso oltre la sempre più offuscata linea di confine che divide quelli che anni fa potevamo definire indie e mainstream, con melodie prese in prestito un un po’ da tutta la storia del pop, da quello più timido e privato fino a quello più ballabile e commerciale, arrivando a essere un ascolto rischioso per quegli stronzi che ancora rimpiangono l’indirok dell’altroieri. Ascoltatevelo e fatevelo piacere, cambierete idea su tutto il panorama musicale e capirete come vanno adesso le cose.

L’apertura parla chiaro: Tomorrow ti prende dal primo secondo e ti stanchi di cantarla tipo a dicembre, The Drummer è il pezzone electro pop che sembra fatto apposta per far ballare gli hipsterz su un dancefloor estivo e In Our Eyes ha una dolcezza che ti scioglie il cuore. Il resto dell’album viaggia su questa lunghezza d’onda, senza però mai raggiungere vette così alte, salvo al lunghissimo pezzo di chiusura, Under The Bridges, dove il purissimo talento pop della band incrocia una cavalcata di percussioni generando il miglior pezzo del disco.

Oltre alle linee vocali sempre azzeccatissime e ai suoni elettronici a cavallo tra la ricercatezza e il citazionismo del synth pop del primissimo periodo, emerge un certo spirtito tribale e istintivo, che da il titolo all’album e funge da catalizzatore per tutti gli ingredienti da cui è formato.
Instinct ha solo un grande limite (che è anche uno dei motivi per cui ci ricorderemo di esso alla fine dell’anno): è un album troppo legato a questo preciso momento musicale e qui rimane imprigionato. Ma per adesso godiamocelo e balliamolo tutto.