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È un mercoledì sera in cui, ospiti di Deer Waves, La Salumeria Della Musica offre il miglior menù dell’intera città meneghina: si cena a base di Trust, un’autentica delizia Canadese.
Il grazioso locale è solito ospitare coppie di quarantenni che cenano e degustano vino allietati da ottima musica jazz, ma per l’occasione si trasforma in un autentico melting pot: nel cortile interno attendono l’inizio del concerto gruppi di studenti più o meno anonimi, ragazzi un po’ meno giovani e un po’ meno anonimi che sembrano usciti da un gruppo di Industrial music e una manciata di signori brizzolati che non sembrano particolarmente sorpresi dalle facce che li circondano.

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In attesa dell’opening act di Orax, l’eterogenea fauna prende letteralmente d’assalto il bar creando una folla attorno all’unica, povera barista che spina una birra dietro l’altra. Il suo calvario prosegue anche durante l’esibizione del nostro connazionale che dimostra di essere un antipasto all’altezza del piatto principale: synth cupi e bassi decisi che aprono letteralmente lo stomaco e stimolano la salivazione di un pubblico che ha visibilmente fame. Il tutto è confermato dal modo in cui la folla si riversa rapidamente davanti al palco non appena le prime note di Geryon risuonano nell’aria rendendola elettrica e satura di aspettativa e curiosità.

Oggigiorno Trust vuol dire Robert Alfons, ma l’idolo Canadese, durante le performance live, si fa accompagnare da una tastierista e da un batterista che gli offrono tutta la libertà per cantare e muoversi armonicamente quando non suona il synth ad una mano. Robert è una sagoma sottile avvolta da un fumo densissimo e trafitta da luci fredde e pulsanti. Solo raramente la sua esile figura si staglia nel denso banco di nebbia artificiale palesandosi per ciò che è: una divinità che si muove frenetica ed elegante di fronte ad un pubblico che ondeggia incantato da una voce che sembra provenire da una creatura aliena.

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Trust ha proposto un set quasi furioso in cui, in poco meno di un’ora e mezza, è riuscito a presentare egregiamente tutto il meglio dei suoi primi due LP, trovando un equilibrio tra quelli che sono ormai classici tratti dall’osannato TRST e i pezzi più freschi presi da Joyland. Robert non si è fermato un attimo tra un pezzo e l’altro, concedendosi un paio di minuti solo prima di uscire dell’encore, durante il quale è arrivata la canzone che, probabilmente, l’intera audience attendeva con più ansia: Candy Walls.

Il concerto ha reso palese quanto Robert non sia uno di quegli artisti che salgono sul palco per fare il compitino, prendere qualche applauso e poi sparire dietro le quinte. È l’opposto. Il modo in cui canta e il movimento delle braccia attorno al volto, che spesso lo rendono prigioniero del cavo del microfono, trasudano il suo essere intensamente dentro la sua stessa performance. Una performance che è nostalgicamente anacronistica, magnetica, surreale. Mette quasi a disagio, in un modo che rende la musica qualcosa di più di un semplice concerto: è il sottofondo di un’esperienza intensa e drammatica in cui Robert, che è pienamente consapevole di come si ammalia un pubblico, era probabilmente quello che più di tutti si è lasciato rapire dal suono che ha rimbombato ne La Salumeria della Musica durante una Deer Waves Night che ha indubbiamente segnato un nuovo benchmark che non sarà facile superare.

Ma lo sapete, noi lo faremo. TRUST US.