A cosa serve l’equinozio d’autunno quando è sufficiente il TOdays Festival per sancire la fine dell’estate?

Noi c’eravamo, e vi raccontiamo com’è andata.

Cosa abbiamo amato

Il live perfetto dei Deerhunter. La strana creatura di Bradford Cox pesca a piene mani dall’ultimo, ottimo disco Why Hasn’t Everything Already Disappeared? (2019) e da quella gemma di Halcyion Digest (2010). Risultato: su Helicopter tremano le ginocchia agli aficionados e si convincono anche gli scettici;

La liturgia degli Spiritualized. Seduto su una sedia con le ruote girevoli che potrebbe essere quella di un ufficio qualunque, Jason Pierce fa quello che gli riesce meglio: farci dimenticare per un’ora chi siamo e da dove veniamo. La chiusura con Oh Happy Day non è per deboli di cuore;

Semplicemente, i Ride. Aggiunti all’ultimo momento in line-up per colmare il vuoto lasciato dai Beirut, la band di Andy Bell non è imbolsita e non delude le aspettative dei nostalgici. Quando partono le chitarre di Leave Them All Behind non ce n’è per nessuno;

La scontrosa grazia dei Low, veri headliner della seconda giornata. L’intreccio di voci di Mimi Parker e Alan Sparhawk mette a tacere l’intero giardino dello Spazio211 e alla fine non si può fare altro che applaudirne la potenza apocalittica;

L’eterna sfrontatezza di Johnny Marr. Che ve lo dico a fare, There Is a Light That Never Goes Out e How Soon Is Now? valgono da sole il prezzo del biglietto della domenica. Chicca: la cover di I Feel You dei Depeche Mode.

Quello showman di Jarvis Cocker. Ah, se solo la sinistra ripartisse da Jarvis Cocker. Ironico e sornione come solo lui sa essere, Jarvis gigioneggia sul palco e intrattiene il pubblico a suon di gag e pamphlet sullo stato della società contemporanea come un vero David Letterman (più magro). Chiude il set con Cunts Are Still Running The World, che purtroppo ha più senso ora di dieci anni fa.

I meccanismi perfetti di Nils Frahm. Ultimo artista del festival ad esibirsi, Nils Frahm inizia a suonare dando le spalle al pubblico, un piccolo uomo in mezzo ad un enorme numero di macchine che maneggia con maestria. Tutto l’INCET ascolta in religioso silenzio quest’ape operosa che si muove da una postazione all’altra e che ogni tanto ci guarda quasi a dire “Tutto bene? Mi seguite? Vi sto annoiando?”. Ci saluta con un calice di vino bianco e vorrei averne in mano uno anch’io per brindare alla tua, Nils.

Cosa ci ha stupito

Adam Naas. La sorpresa migliore di tutto il festival. Il principino francese sale sul palco con trucco alla Michael Stipe e vestito completamente a caso, ma poi inizia a cantare e diventa un alieno: espressività, dramma e voce incredibili.

Parcels. Tanto hype per questi australiani trapiantati a Berlino dal look impeccabile – evidentemente prodotti della label/casa di moda Kitsuné. Funky fresco e daft-punkiano perfetto per combattere l’afa della domenica pomeriggio.

Balthazar. “La vita non è solo essere belli belli in modo assurdo”, diceva Zoolander. E infatti i cinque belgi sono pure bravi, ma che fatica tenere gli ormoni a bada.

The Cinematic Orchestra. Nu-jazz ad alta concentrazione di virtuosismi, ma soprattutto con un’anima.

Cosa non ci ha convinto

One True Pairing. Synth e chitarrine più o meno aggressive nel progetto solista di Thomas Fleming, fondatore dei Wild Beasts. Il set scorre senza intoppi ma non decolla veramente mai.

Hozier. La carta più mainstream giocata dal festival si presenta sul palco con una band di sette elementi (!), ma le canzoni sono un po’ tutte uguali. Dopo “Foto di papà tristi al concerto degli One Direction” presto potremmo portarvi un nuovo articolo: “Foto dei fan dei Low tristi durante il concerto di Hozier”.

Quest’anno vogliamo anche abolire il concetto di gruppo spalla. La parola chiave sarà equilibrio, non ci sarà distinzione tra chi suona alle 18 e chi alle 22. In Italia siamo troppo legati all’idea dell’headliner che si esibisce per ultimo”.

Qualche mese fa parlava così al Corriere della Sera Gianluca Gozzi, l’ormai ex-direttore artistico di TOdays – è di ieri la notizia del suo addio. E così è stato: Bob Mould che venerdì pomeriggio suona prima di tutti alle 18, il ventinovenne Hozier che suona dopo i mostri sacri Low: non ci sono gerarchie, non ci sono regole, non c’è #newnormal che tenga. Coerente anche nelle sue scelte più inusuali, TOdays si dimostra anche quest’anno un festival di chitarre e politica, e già solo per il coraggio andrebbe premiato.

Speriamo che chi ne prenderà le redini (se qualcuno ne prenderà le redini) sia capace di raccoglierne l’eredità.