Il 29 aprile, dopo un’assenza di ben 6 anni, sono tornati in Italia i The Knife per presentare il loro nuovo album Shaking the Habitual.
L’attesa è tantissima e i biglietti sono ovviamente sold-out a pochi giorni dall’apertura delle prevendite.
Fumo e luci creano l’atmosfera che ci si aspetta, quell’insieme mistico che ti fa pensare:”Stanno per iniziare i Knife” e che ti fa rimanere concentrato e attento su ciò che per la prossima ora e 40 (circa) succederà sul palco.
La band sale sul palco con una formazione a 7, rigorosamente incappucciati, che si colloca dietro a quelli che potremmo chiamare strumenti: percussioni, arpa con corde fluorescenti, etc.etc.
La traccia che dà il via alla serata è A Cherry On Top, e tutto sembra iniziare per il meglio: le voci che li accusavano di playback si allontanano per un po’, trasportandoci in quello che è l’atmosfera elettronica del duo svedese e cullandoci tra avanguardia e sperimentazioni sonore che da più di 12 anni li riconferma come una delle colonne portanti della musica elettronica.
Di seguito propongono Raging Lung e si può dire che il concerto si concluda qui.
Quello che è successo in seguito è qualcosa di surreale. Gli strumenti vengono allontanati rapidamente e sul palco restano solo i 7 componenti, a ballare particolari coreografie indossando abiti luccicanti, tutto rigorosamente in playback.
Ed è allora che quelle voci e accuse di playback ritornano fino a concretizzarsi.
Nell’ora successiva, quello che vediamo non è solo una serie di coreografie (a tratti fatte addirittura male), ma è sinceramente un gigantesco dito medio a tutti quelli, che, quella sera, si aspettavano di vedere il duo svedese suonare e/o cantare le canzoni che li hanno resi celebri.
Quella che si assapora durante la serata è una sensazione di disagio, causata dal fatto che sta semplicemente andando un cd e quelli che dovrebbero suonare non stanno facendo praticamente nulla (e non è un’esagerazione: in Full Of Fire, ad esempio, si limitavano a fissare il pubblico con movimenti minimi), e la gente continua ad applaudire e a divertirsi come se nulla fosse, senza incazzarsi minimamente.
“Non capisci, è astrazione e destrutturazione”, “È pura avanguardia.”, “È un’opera teatrale e teatralizzata”.
CHE CAZZO STATE DICENDO.
Una delle cose che al giorno d’oggi si dovrebbe evitare di fare è attribuire il concettuale a qualcosa che non dovrebbe esserlo o, ancora peggio, non lo è.
Il live, o concerto che dir si voglia, è una di queste. Un sacco di artisti riescono a dare un’impronta profondamente concettuale nonostante SUONINO (o cantino) dal vivo, dando una sfumatura unica al live in questione.
La sensazione che si ha è quella che la gente, quella sera, si sia fatta piacere i Knife per forza, perchè ci ha speso gran soldi, per non essere etichettata come ignorante, perchè “We, The Knife, will be performing live. We will be there, on stage, all seven of us, sometimes all ten of us, or even more. We have worked hard, together. Things, ideas, concepts have been tried, tested, discarded, evolved, perfected and discarded again” come cita la loro pagina facebook.
Il tutto si chiude con il classico Silent Shout, un breve saluto, e il tutto si tramuta in un enorme discoteca con una dei 7 elementi illuminata al centro della sala mentre balla di fianco al tecnico del suono. Ci si aspetta qualcos’altro, forse, per chiudere con un sorbetto al limone le 11 portate a base di merda. Si capisce che il tutto è finito quando la ballerina in questione si accende una sigaretta e si sbevazza una birra.
La linea tra concettuale e presa per il culo è veramente sottile, ma quello che posso dire di aver visto io è solamente un lunghissimo omaggio a Mauro Repetto con in sottofondo una delle band che amo, i Knife.