Great Escape, il miglior festival europeo per band emergenti e anche un po’ meno emergenti. Per il settimo anno consecutivo Brighton a metà maggio è invasa da tanti hipster, tanta gente che ascolta buona musica anche non travestendosi da hipster e tanti delegati stampa e non. 300 bands da tutto il mondo che si concentrano in 30 tra pub e locali della città, spalmati nei 3 giorni del festival, da mezzogiorno a tarda tarda serata. Appena letta la line-up avevo capito che non potevo starmene a casa a chillarmi da solo in quei giorni. E allora vediamo un po’ com’è andata.

LA PARTENZA: Milano-Londra è il solito volo, boys and girls impazienti di consacrarsi come veri alternativi per Brick Lane o da Rough Trade. Ma stavolta qualcosa era diverso.
Immaginate di salire su un aereo Ryanair, con tutti i problemi che porta (posti sparsi a caso, stretti, entri ultimo e devi stare lì 10 minuti con la valigia perché non sai dove metterla). Ecco ora aggiungeteci un aeromobile colmo di ragazzine quattordicenni in gita scolastica: “ohh ho paura! ora cade! ihihih XD che figata fammi fare una foto alle nuvole!!1!!”.
Perché chiaramente poi quelli che hanno paura di volare son seduti sempre e casualmente accanto a te, e mentre cerchi di chillarti beatamente tenendo una faccia disinvolta per celare lo stato d’animo reale a quelle turbolenze rompica*#o, loro sono lì che non riescono a star fermi, a stringere il bracciolo mentre le mani gli sudano e il viso assume un’espressione terrorizzata. La parte più brutta arriva poi quando mancano 20 minuti all’atterraggio: stai ascoltando gli Slow Magic e il livello di chill è sopra la media ma ad un tratto “din don – allacciare le cinture e spegnere qualsiasi oggetto elettronico”. Te la prima volta fai finta pure di dormire, poi ti arriva l’hostess in calze color carne e aspetto molto sovietico a bussarti sulla spalla, ok non rompermi il ca+°o ora lo spengo.
Volo a parte, arriviamo a Brighton con il solito arabo un po’ napoletano che era lì fuori al terminal dell’aeroporto con un monovolume Chrysler qualsiasi, tutt’altro che un taxi, nel quale scoperà di solito con prostitute londinesi incinte, ci piace aiutarlo a dargli i soldi per un’altra minorenne allora ci porta all’albergo a Brighton dove avremmo alloggiato.

L’OSTELLO: Sarebbe anche bello non parlarne, quando da solita testa di sushi prenoti pochi giorni prima dell’arrivo o ti accontenti o dormi in spiaggia. Le uniche parole che mi vengono per descriverlo è Million Dollar Hotel. Guardatelo perché è quel che è.

BRIGHTON: La città è bella, le mie origini per metà inglesi mi hanno permesso di andarci da quando ero piccino. D’altronde se vivi a Londra o ti accontenti dell’oceano o prendi un aereo.
Tanti locali, tanti pub, tanti bei gabbiani, Brighton si presentava super-organizzata e pronta al festival e alle tante migliaia di persone in arrivo che stavano per prenderla d’assalto. Hipster level 291%.

IL FESTIVAL: Come dicevo in apertura, 300 band in 3 giorni sparse in 30 locali. I concerti duravano mezz’ora, in media, a parte quelli di più rilievo. È che quando arrivi e ti danno il programma, lo apri e sai che vedrai tante belle band ma sai anche che ne perderai altrettante. Quindi ti metti lì seduto e passi due ore col programma, il momento della scelta, in questi casi, è forse quello più importante e decisivo del festival. Qui si decide il tutto.
Organizzazione eccellente, comunque, fortuna che gli accrediti ti permettevano di saltare le file a volte davvero lunghe, che non garantivano a tutti l’accesso ai concerti (per vedere ad esempio Grimes al Digital dovevi andarci almeno tre o quattro band prima).

Giovedì – Sveglia, doccia, colazione, tutto ciò che si fa di mattina e via in centro.
Si inizia subito con Zebra & Snake al The Hope, pub con saletta concerti di misura modesta, e subito sono impressionato da questa band: look un po’ metal, fanno un synth-pop che ci libera da tutti i mali. Album in uscita per loro, sarà una bella sorpresa per tutti. Fine, pronto a correre al Prince Albert per i François and The Atlas Mountain, stage ancora piccolo e colmo per Porcelain Raft che avrebbe deliziato tutti subito dopo. Riesco a sentire un paio di pezzi e ad uscire prima di svenire. Becco i Jordan Cooke aka Reignwolf, canadesi, buona tecnica e un po’ Black Keys. Yukon Blonde trascurabili, Young Dreams invece che mi impressionano in positivo, norvegesi suoni tropicali e psichedelici molto melodici.
Si va in crescendo: Peace, tanto hype per loro grazie ad NME radar e Blaine Harrison tra il pubblico, Friends che spaccano i culi, gruppo piuttosto modaiolo, bello da vedere e da ascoltare con la frontman che lascia il palco per proseguire il suo concerto cantando in giro per l’Horatios con un microfono wireless.
Scappo al Corn Exchange, vedo Gross Magic che deve aver sottoposto il suo repertorio ad una chirurgia plastica, e Mystery Jets: li aspettavo da tempo, tanto Radlands e Serotonin, Blaine e la sua spina bifida, emozioni.

Venerdì –  Si parte alle due e mezza con tanta Nuova Zelanda: di Pikachunes ho parlato già in precedenza, live ha soddisfatto tutte le mie attese, grande elettronica ed atmosfera; subito dopo, i Princess Chelsea, molto delicati e dolci, immancabile Cigarette Duet che ricorda a tutti chi siano veramente. Mi impressionano anche i We Have Band, ma venerdì è una giornata difficile a livello di scelte.
Allora scelgo il Digital: subito Half Moon Run, trio di Montreal che fa da apripista a Grimes. Grimes è quella che è: album magnifico, live straordinario. Il Digital, piccolo e buio con un impianto audio di gran livello, rende al meglio le potenzialità della canadese. Eccezionale.
Subito dopo, Y∆CHT: elettronica, distopie, si balla e ci si diverte tanto, con la band che tiene la scena in maniera eccezionale e tiene il pubblico post-Grimes alla grande.
Il secondo giorno al Great Escape si chiude con Spector e Man Like Me. Bravi i primi, spero non diventino una boy band, live rendono comunque tanto, impeccabili, e Man Like Me, in un’amalgama indie-grime-rave a cui aggiungerei anche hipster e figo.Sabato – Ultimo giorno di festival, in cui si ha solo voglia di chiudere per bene.
MMoths alle 12.15 è una delle cose più belle della vita: un po’ timido anche se davanti a poca gente, gente brava che sa come chillarsi per bene. Cito i Red Ink causa presenza, ma molto disimpegnata.
Serata con The Soft, un’altra band che mi ha impressionato tanto al Great Escape, trio inglese che fa un’elettronica soave con buone intercorrenze tribali. Seguono i New Look che ritardano causa indecisioni con il fonico che non riusciva a concentrarsi data la concentrazione di bellezza contenuta in Sarah Ruba, cantante e tastierista del duo canadese.
Vado in chiesa, si chiude pregando: Loney, Dear che con la sua My Heart fa piangere sul serio, nell’edificio sconsacrato c’era una cappella in cui era vietato l’accesso al pubblico del concerto, si poteva entrare solo per pregare. Sul pezzo più conosciuto e strappa-lacrime dell’artista folk svedese ho visto gente piangere.
Esce lui, entra Perfume Genius. L’atmosfera resta rarefatta, sacra nei suoi aspetti paradossali, il Great Escape non si poteva chiudere in modo migliore. Ah i Jinja Safari: 17 strumenti che preparare il palco è alquanto difficile, partono in ritardo e mi fanno perdere altre band che avevo in scaletta, ma ne è valsa la pena: portano in scena quelle atmosfere fiabesche con tempi afro-pop e tanta voglia di divertire.

Il Great Escape è uno dei migliori festival in circolazione,  il migliore quest’anno nel Regno Unito se non in Europa. Certo, non ci sono nomi altisonanti, a parte pochi, ma ciò che mi interessava di più era questa roba nuova, di certo non ascoltare Foo Fighters e compagni.

Potendo fare una scaletta dei migliori set, Grimes, miglior concerto in assoluto; Pikachunes,  Perfume Genius, Zebra and Snake e Mmoths da 9. The Soft, Man Like Me, Mystery Jets, la indovino con una: 8.9. Poi una bordata di roba da 8. A parte Yukon Blonde, Red Ink e qualche altro outsider, avrei potuto mangiare più donuts in certi momenti.

C’erano anche i tre headliner: Maximo Park, Temper Trap, Africa Express Sound System e fottesega.

Ah, non sono riuscito a vedere gli Alt-J(∆), mi sto ancora mangiando le mani.

Great Escape, grazie.