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“Muy forte, muy forte!” ripete Jehnny a metà concerto, in un italiano maccheronico, cercando di convincere i fonici ad alzare il volume e fare più casino, sotto esplicita richiesta del pubblico. Come se il casino e la potenza del live non fossero già abbastanza.

Sono le 23, il live non è ancora iniziato e il pubblico incita l’uscita delle 4 ribelli di Londra. Il pubblico. Ecco, parliamone. Si tratta per la maggiore di coppie sposate over 40 che limonano duro pre-concerto, di gruppi di amici/amiche che “A casa ho solo vinili del punk british 70/80s“, di un tizio pelato, in camicia da ufficio che arringa la folla a suon di “porco diaz“, di gente random che prova ad associare ogni singolo pezzo delle Savages a un pezzo del passato ed infine loro, le migliori: le lesbo riot. Di ogni età (18-45), con capelli più corti di ogni altro uomo presente in sala, con vestiti post-vintage-punk-rock, con rabbia repressa e con un unico fine: limonarsi una delle Savages.

Ma torniamo alle nostre belle donnine. Si presentano parecchio timide, nascoste dietro i loro abiti scuri e senza troppi indugi iniziano a spaccare tutto quello che le circonda a colpi  di “City’s full of sissy pretty love“. Opening track eseguita alla perfezione: il locale trema. La timidizza, come supponibile, era solo apparante e tutta la loro cattiveria soffocata esplode completamente nei successivi pezzi (Shut Up, I Am Here, Give Me A Gun) senza darci il tempo di prendere fiato. E’ un continuo tuono.
Arriviamo all’accoppiata di pezzi decisamente più morbidi e intimi Strife/Waiting For A Sign, al termine dei quali si crea quel simpatico siparietto già citato tra Jehnny, il fonico e un ragazzo nel pubblico.

L’esibizione è perfetta in ogni suo aspetto, a volte quasi toccante: il calore e l’intesa che si crea tra il gruppo e il pubblico è davvero particolare, tanto che Jehnny si abbassa per abbracciare una fan in prima fila durante una canzone. La stessa cantante è una leader formidabile con una presenza scenica infinita:  i suoi movimenti a là Ian Curtis sembrano quasi dirigere l’orchestra composta dalle altre tre signorine e dal pubblico che la seguono in ogni sfumatura delle tracce. Tengo a precisare che, nonostante tutto questo carisma della frontlady, le altre donzelle non sono da meno: la batteria sembra chiedere pietà per la potenza dei colpi ricevuti da un’indomabile Fay, Ayse al basso le cui dita infiammano il pubblico e la tanto enigmatica quanto brava Gemma è una favolosa macchina di suoni.

Si riprende con Flying To Berlin, traccia non presente nell’LP, ma pubblicata nel 2012. Hit Me torna a distruggermi anima e timpani con il suo ritmo velocissimo, quasi hardcore. La performance sembra concludersi con quella meraviglia quale è Housband, date le presentazioni dei membri della band prima dello stesso pezzo, ma non è così.

Jehnny inizia un breve discorso invitandoci a non lasciarci abbattare da persone che non meritano un cazzo: “Don’t let the fuckers get you down” ripete imperterrita per più di metà canzone. Canzone (inedita, a quanto pare) che si conclude dopo uno special ripetuto per quasi 3 minuti.

Una performance da salvare nell’archivio ‘Più emozionanti’. 50 minuti di musica, vera musica da vivere. Confermati anche tutti i commenti positivi della critica musicale mondiale: uno dei dischi più belli dell’anno di una delle migliori nuovi band in circolazione.

Sotto il video dell’esibizione di Husband e le foto dei componenti della band. Tutto direttamente da ieri sera.

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