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Bentornati dal vostro inviato preferito da Londra. Sono qui, come sempre accompagnato da nessuno, a raccontarvi un altro concertone. Eh sì, questo è proprio un evento coi controcazzi, imperdibile: finalmente arrivano i Run The Jewels al Koko.
Una data sold out da ben un mese e mezzo, devo ringraziare il buon rapper Ollie che mi ha venduto il biglietto perchè l’han mandato all’ultimo rappare a Reading. CHE PECCATO (ti auguro tutto il meglio, Ollie dei The Book Thieves).
Arrivo al Koko e, se non avete minimamente idea della figata:

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Sì, caruccio come posto, eh?

Sono solo le 18:30, di gente però ne sta già arrivando e non poca. Vado a farmi la mia oramai classica birretta solitaria e vedo lo stilosissimo A4 con il programma della serata. Ad aprire, ci sarà il misterioso DJ MATMAN, che amerò dopo solo 10 minuti di esibizione, e vi spiegherò con amore perché.

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Eccolo il Matto, che sale sul palco / apre il Mac / alza il volume e comincia a scaldare la situazione. E i primi pezzi in effetti ci stanno alla grande… ma, aspetta, ascoltiamo bene. Il Matto non ne azzecca una: sbaglia i cambi, fuori sync, ha evidenti difficoltà a passare da una traccia all’altra. Cerca così di pompare la folla, prende il suo microfono e… è spento. Prova per due minuti a farsi vedere dal fonico, che era lì a guardarsi le foto sull’iPhone (tutto vero), ed è così che comincia la ridarola generale. E credo che abbia intravisto anche Killer Mike da dietro le quinte che gli prometteva le sue belle padelle nere in faccia. Ma quindi sto DJ MATMAN che è qui ad aprire, per cosa sarà famoso? Sarà il re dello scratch, chiaro! Ne infila 2 in un’ora e mezza di set belli scandalosi. Ed ecco che il microfono riprende ad andare solo al momento dei saluti. MATMAN RULES.

Nel frattempo il Koko è gremito di gente, neanche un piccolo spazio lasciato vuoto. Passa pochissimo tempo e si spengono le luci.

Ecco i Run The Jewels: arrivano accompagnati da We Are The Champions in sottofondo, salutando la folla, e sono già adorabili. Con cosa si parte? Con Run The Jewels, chiaramente!
Ti rendi subito conto dal primo pezzo che El-P e Killer Mike sono la coppia perfetta: botta e risposta micidiale, presenza scenica da urlo e un’energia infinita. Aggrediscono ogni verso della title-track del primo album ed il Koko si trasforma subito ed inaspettatamente in un enorme e violentissimo pogo. Mai visto una situazione scaldarsi così velocemente, e dopo una veloce chiacchiera con il pubblico si accelera subito con Oh My Darling Don’t Cry seguita da Blockbuster Night Part 1.
Il carisma dei Run The Jewels è strabordante. Killer Mike è gigante e autoritario, El-P è un irresistibile intrattenitore che probabilmente ti tirerà una lamata dopo quando tornerai a prendere la tube, e si ha proprio l’impressione di vedere due anime gemelle musicali che si sono finalmente trovate, esattamente come si definiscono loro.

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La coppia ha un sorriso stampato in faccia, e continua a ringraziare il pubblico che è veramente ON FIRE. Infatti, dopo aver sentito i primi pezzi sul mio balconcino da conte, non resisto e scendo anch’io nella ressa. L’ultima volta che ero finito in un pogo del genere era al concerto dei Gallows, ma che diavolo sta succedendo stasera? C’è una energia irreale in questo posto. Poi se El-P sfoggia un discorso da vero filosofo su come camminare con la tua catena immaginaria per strada prima di 36 Chains, capisci perché qua stiano tutti impazzendo.
Una cosa che mi colpisce durante tutto il corso della serata è la loro interazione con la folla, da cui arrivano in regalo guarda caso due collanazze d’oro superchic, in maniera assolutamente spontanea e spassosissima: sembra abbiano una specie di dono. E sono anche dei gentiluomini quando chiedono scusa in anticipo alle prime file di persone davanti al palco prima che parta Close Your Eyes (And Count To Fuck) durante cui volano corpi per aria e io spero fino all’ultimo, mentre prendo/do/prendo/prendo una marea di botte, che sbuchi fuori Zack De La Rocha a fare una sorpresona: non appare, ma poco importa, mi bastano loro stasera.
La frenesia continua su Lie, Cheat, Steal, e noi ruggiamo un EVERYBODY DOIN’ IT ad ogni refrain incitati da Killer Mike… ma, ci sarà mai un momento di calma stasera?
Sì, e si chiama Early, interpretato con serietà e premura. Parla della corruzione e della brutalità della polizia americana, un argomento molto caro soprattutto a Killer Mike, e mentre sono con le mani al cielo raffigurando insieme a tutti gli altri il loro ormai personalissimo e riconoscibilissimo simbolo, realizzo che questi due con il sophomore Run The Jewels 2 hanno piazzato uno dei lavori più importanti dell’anno. Sono inarrestabili, grezzi e veri.
E non c’è un pezzo che annoi. Impossibile, data la qualità del loro materiale: la doppietta All Due Respect Love Again è, ancora una volta, micidiale. Lo so che sto sembrando ripetitivo, ma qua l’energia non vuole scendere, che ci posso fare? Continuo a rimbalzare tra la gente, e vi ricordo che non sono ad un concerto punk/hardcore, quando parte Get It è forse il mio momento più bello della serata: vedere Mr. Killer Mike che balla e muove quel bel panzone con stile, le vostre scritte SWAG sono inermi davanti ad uno spettacolo del genere.
Dopo il piccolo classico A Christmas Fuckin’ Miracle, torno sul balconcino da lord perché comunque di botte ne ho prese abbastanza, e voglio fare la fotina per i miei amici cervi proprio sul momento dell’encore di Angel Duster, vera autocelebrazione finale.

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Finisce qua, tra l’ovazione generale, e gli sguardi emozionati e felici dei due eroi della serata.
Non ero mai stato ad un concerto del genere. Esco dal Koko carichissimo e contento, le riflessioni esistenziali post-concerto di Ben Howard di due giorni prima spazzate via in un attimo.
A cosa ho assistito?
Ad una vera consacrazione definitiva, un colpo di stato: l’ascesa dei nuovi re aggressivi, ironici e irresistibili. Potrei cercare ancora definizioni in tanti modi altisonanti, ma mi basta dire che i Run The Jewels sono passati ad un livello superiore, praticamente intoccabili.
Se qualcuno li volesse fermare ora, scansatevi, è troppo tardi.