© Alexis Janicot via www.laroutedurock.com/lecarnetderoute

La Bretagna è una sorta di Sicilia in cui piove sempre.
So you’re Italian and came here for holidays? That’s insane!
Il primo degli autoctoni in cui mi imbatto al Fort de Saint-Père è socievole e alla mano come tutti gli altri che incontrerò a Saint-Malo.
La Route du Rock è una manifestazione longeva, che non può permettersi il lusso di rivedere i piani in base alle condizioni meteorologiche, come d’altronde la maggior parte delle kermesse d’oltralpe. Il mio Ferragosto alternativo inizia venerdì sera, con la traversata di 500 metri nel mare di fango che è diventata la campagna bretone dopo un temporale durato tutta la giornata. Il camping è già affollato di personaggi evidentemente abituati alle intemperie, o magari già sufficientemente ubriachi da affrontarle col sorriso.

Il viale tra la biglietteria e l’ingresso è costeggiato da foto che ritraggono gli artisti succedutisi nelle precedenti edizioni, dai Portishead ai Pulp, passando per The War on Drugs e i moltissimi altri collezionati in ben venticinque anni di attività. Il cuore della manifestazione è il Fort de Saint-Père, un’antica cinta muraria ricoperta di vegetazione a una decina di km dal centro città, ma nei giorni del festival gli eventi collaterali coinvolgono tutta Saint-Malo, con dj set in spiaggia e performance in varie location, tra cui una notevole sorrentiniana première giovedì 13 con Sun Kil Moon e The Notwist, a cui purtroppo sono costretta a rinunciare, così come alla ricchissima giornata conclusiva di domenica 16.

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La grande assente è ovviamente Bjork. Dopo la cancellazione del tour di quella che era probabilmente l’artista più attesa di quest’anno, l’entourage de La Route Du Rock non si perde d’animo e un paio di giorni dopo annuncia un rimpiazzo di tutto rispetto, i Foals. L’argomento è una costante di sabato sera, tra Yannis Philippakis che si dichiara da subito conscio del compito ingrato che tocca a lui e ai suoi (che ciò nonostante si dimostreranno ampiamente all’altezza), e il cantante degli Spectres che sale in scena con una t-shirt che ritrae la sòla islandese.

Tra le sorprese più gradite ci sono senza dubbio gli Algiers. Ospiti del secondario scène des remparts, gli americani confezionano uno show che lascia intendere che presto li leggeremo ai piani alti delle line up. Frontman di tutto rispetto, Fisher interagisce in francesce e si contorce in raptus sensuali mentre ruggisce note che trasudano blackness da tutti i pori. La ricetta degli Algiers è ancora tutta da scoprire, tra dosaggi schizofrenici di post punk e gospel. C’è spazio per srotolare quasi tutto il pregevole self-titled di esordio uscito solo pochi mesi fa. Tra esplosioni che lambiscono la techno e martellamenti funk, il collante a presa rapida è uno schietto e brillante sostrato afro folk.

Algiers-©Nicolas-Joubard-7267Algiers – © Nicolas Joubard via www.laroutedurock.com/lecarnetderoute

Altra formazione devota al folk, sebbene con radici ed esiti di tutt’altra natura, i Timber Timbre inondano il palco principale con un’ora di bassi morbidi e penetranti. Non c’è spazio per le smancerie alla folla, lo show ha un che di solenne e sospeso nel tempo, un’aura fieramente demodè che è poi la chiave del sound di Taylor Kirk e soci. Tra luci soffuse e il timbro di Kirk che evoca il Bowie più crooner della fase Duca Bianco, la performance dei canadesi si veste di esoterismo a base di distorsioni e synth eleganti e mai invadenti.

Poca la coda agli stand grazie a un sistema cashless con cui pagare ovunque, dalla birra al merchandise. Una tessera magnetica da ricaricare in vari punti all’interno del recinto consente di evitare la paranoia di maneggiare denaro contante tra la folla. Le cifre caricate non sono rimborsabili, per cui si beve fino ad esaurimento scorte, e i francesi sembrano darci dentro senza sosta. Le uniche file interminabili sono quelle per i pochi servizi igienici in dotazione, ma col giusto tasso alcolico in corpo, totalmente incuranti dei presenti, anche le ragazze finiscono per farla negli angoletti.
Nel frattempo sullo scène des remparts gli irlandesi Girl Band (che a dispetto del nome non vantano alcuna donna tra le proprie fila), con il frontman travestito da un redivivo Kurt Cobain e munito di set-list scritta a penna su una mano, si destreggiano a suon di percussioni sfacciate per tenere a bada un pubblico che già scalpita per i prossimi in lista.

I Ratatat, freschi dell’uscita di Magnifique, salgono in scena accompagnati dalle consuete video art che sono parte integrante dello show. Le sagome scure di Stroud e Mast che si alternano agli strumenti si stagliano sulle animazioni ipnotiche, mentre i nuovi brani si incastrano tra i loop dei cavalli di battaglia: Loud Pipes e Grape Juice City scaldano l’atmosfera e conducono alla massiccia dose di chitarre di Cream On Chrome, per tornare poi al repertorio consolidato. La scelta di proporre solo i pezzi più carichi è consona all’ora tarda, per una performance senza cali di tensione, in cui non c’è molto spazio per le tendenze melodiche dei brani dell’ultimo lavoro.

Ratatat – © Nicolas Joubard via www.laroutedurock.com/lecarnetderoute

Causa tramonti bretoni che si fanno attendere fino alle 21 inoltrate, sabato sera The Soft Moon sale in scena con la luce del giorno e ne viene fuori una roba un po’ destabilizzante. Il mio ultimo incontro con Luis Vasquez risale allo scorso anno, nella splendida cornice di Palazzo D’Avalos al Vasto Siren Fest, e ho ancora troppo impresso nella mente quel connubio perfetto tra suono e location per poter apprezzare appieno l’inquietudine dei brani di Deeper su uno stage più dispersivo e senza un’oscurità che ora mi appare necessaria. D’altronde il nuovo album ne ha bisogno ancor più dei precedenti. Dal canto loro, Vasquez e colleghi si confermano impeccabili, ma al termine di una performance che stavolta non è in grado di mutare in un profondo viaggio nell’inconscio resto con un pizzico di insoddisfazione.

The-Soft-Moon-©Nicolas-Joubard-7513The Soft Moon – © Nicolas Joubard via www.laroutedurock.com/lecarnetderoute

Il clou della serata giunge senza troppe sorprese nel momento in cui i Foals calcano il main stage. C’è stato tutto il tempo di metabolizzare il due di picche di Bjork e il pubblico appare più che entusiasta di come sono andate a finire le cose. Gli inglesi tornano a Saint-Malo dopo cinque anni (nell’edizione 2010 divisero il palco con Massive Attack, The National e così tanti altri da farmi chiedere ancora oggi cosa minchia abbia avuto io di meglio da fare quel Ferragosto lì) e Yannis faccia-da-schiaffi è totalmente a suo agio, tanto che apre le danze gettandoci in pasto un inedito (giusto il tempo di tornare in patria e impossessarmi del leak e scoprirò che si tratta di Snake Oil, dall’atteso What Went Down).
Gli altri assaggi del disco in arrivo sono Mountain At My Gates e la title-track al piombo fuso, che si amalgamano col resto della scaletta fatta di hits collaudate: il muro di suono di Inhaler inebria, ci si scioglie su Spanish Sahara, in delirio collettivo con My Number, poi il raffinato math rock di Two Steps, Twice chiude una performance di un’ora volata via tra salti e sculettamenti a cui sembra impossibile sottrarsi.

Dimensioni umane, organizzazione efficiente, line up ben calibrate: La Route Du Rock 2015 è valsa tutti i chilometri macinati per poterci essere. That was not so insane.

Foals-©Nicolas-Joubard-9448Foals – © Nicolas Joubard via www.laroutedurock.com/lecarnetderoute