Un maccheronico e tenero italiano di Munaf Rayani apre i festeggiamenti del ventennale di How Strange, Innocence degli Explosions In The Sky andato in scena al Fabrique di Milano. È lui a fare il frontman di una band che non ha frontman e a proferire le uniche parole poco prima dell’inizio di un concerto che di parole non ne contiene.

Noi siamo e saremo per sempre le esplosioni nel cielo

Applausi, buio e le pedaliere si scaldano.

Dopo i primi trenta secondi senti già che ti si strizza il culo, perché percepisci l’inizio di lunghissimi giri di chitarre che conosci bene e che sai ti porteranno molto molto lontano. Non si sa dove di preciso; quando gli Explosions In The Sky si riuniscono sul palco strappi un biglietto per una destinazione ogni volta diversa ed imprevista. Anzi, a volte (cioè la maggior parte delle volte) non si arriva da nessuna parte. C’è una porta che separa la partenza e questo arrivo che a volte (cioè la maggior parte delle volte) non esiste e quando la apri non sai cosa aspettarti. Ed è questo il punto.

La forza di questa complessa band texana risiede nella capacità di trasmettere sensazioni uniche, come se ogni brano fosse stato pensato proprio per te. Tutto appare una metafora della tua vita e nasce e muta forma e si contorce sulla base di come lo osservi e lo pensi. Dentro di te le regole non esistono e tutto è concesso. Reale e immaginazione si confondono. E lo show racconta di questa collisione tra immaginazione e realtà; tra rappresentazione e volontà. Vale tutto, anche divagare in questo continuo interscambio fra le due cose.

Sei dritto e sei storto. Ti pieghi come il cucchiaio di Matrix, ma è anche il cucchiaio che si sta piegando. Ripensi alla tua vita, guardi il futuro oltre i teli neri, o rimani semplicemente in uno stato di ipnosi con gli occhi fissi alla batteria. Rinsavisci e a destra si intrecciano le lingue dei tuoi vicini perché a loro The Only Moment We Were Alone è salita così. E a sinistra siamo in piena estasi mistica. Mentre quella cosa al culo alla quale non sai dare un nome, è ancora lì. Salendo dai piedi è passata per lo stomaco e poi giù e poi su. Si attorciglia tutto quanto. Pensi e ti domandi cose. E più ti concentri, più sei turbato. Rinsavisci di nuovo e sorridi perché forse stai facendo la faccia da coglione. Ci sono Catastophe and the CureA Song for Our Fathers e Magic Hours e Your Hand in Mine. E alla fine non ci capisci più granché. Le conosci un po’ tutte, ma ci si confonde nel fumo e nelle luci al neon. E ti chiedi se anche per gli altri sia così.

Questo viaggio da 90 minuti, durante il quale non esistono parole devi volerlo veramente. Non lo puoi prendere un po’ per caso. Volerlo e e assaporarlo tutto così come ti viene addosso, con i suoi effetti imprevedibili e sempre diversi. Così come si vivono i sonni di una manciata di minuti con sogni interminabili. Ed è forse per questo motivo che a questa festa di compleanno dall’impatto traumatico non eravamo tantissimi.

Ecco la scaletta completa:

  • A Song for Our Father
  • Yasmin the Light
  • The Only Moment We Were Alone
  • Great Death
  • Catastophe and the Cure
  • Have You Passed Through This Night?
  • Your Hand in Mine
  • Colors in Space
  • The Birth and Death of the Day
  • Disintegration Anxiety
  • Magic Hours