Percorrere il Lungo Dora a passo svelto sotto il fragore del diluvio, nel silenzio del sabato sera all’ora di cena, con qualche occhiata svelta e impaurita al grigio sporco del fiume ingrossato, è quel genere di pre-festival che non immagini per un Maledetta Primavera.

Ma tant’è Torino, le mezze stagioni tardano e si diradano più che altrove e la maledizione la si prende sul serio; piove da quattro giorni che sembra Londra, ha grandinato anche. Girando un vicolo tra il fiume e l’università ci sono le Officine Corsare, un circolo arci il cui assetto principale non è tanto la promozione artistica, quanto l’aggregazione politica e l’approfondimento su percorsi a più livelli: sportelli legali per lavoratori precari, istanze di quartiere e assemblee di studenti. Motivo forse per cui, assieme al vederlo gremitissimo, mi ha restituito un’idea di ambiente atipico per concerti da aspettative, e per questo intimo, accogliente.

Dall’esterno sento il finale di Girls just wanna have fun, e una volta entrato solo un tavolino con una coppia, due persone al bancone ed una tavolata. Irrompono The final countdown ed un brindisi presidenziale:”Il riso non sarà il massimo / è cosa vera / ma anche questa è Maledetta Primavera / l’importante è mangiare con chi vuoi  / facciamo un brindisi a Canova Liede e Giorgio Poi”.

Prendo poi un negroni, non ho guardato davvero cos’abbiano mangiato. Avendo strappato anche un applausetto niente male, vado a chiedere al theking Davide Caucci di ripetermi il mottetto ché voglio segnarmelo. Mi ha chiesto lui di sottolineare la presidenzialità del momento, dicendomi che di solito i brindisi li fa il Presidente e non lui; e che era un omaggio, insomma.

In un’intervista ricchissima ai componenti di Sporco Impossibile, Brizio a proposito dell’ideatore del Roma Brucia e fondatore di Bomba Dischi dichiara:”Possiamo dire che Bomba Dischi è Sporco Impossibile con Davide, o che Sporco Impossibile è Bomba Dischi senza Davide”. Il sabato (25 marzo) di Maledetta Primavera ospita in apertura Liede in solo acustico, e Canova e Giorgio Poi a seguire, due realtà affermatesi come gemme dell’indie italiano, per Maciste Dischi e Bomba Dischi. Troppo spesso però ci si dimentica quanto, all’indie italiano e alle sue etichette, afferisca un’eterogeneità di stili e contenuti radicale al punto da impedire, talvolta, anche solo pensare ad un accostamento. Si pensi ad un confronto tra FASK e Thegiornalisti, senza giramenti di testa. Dall’estetica alla resa live, dalla ricerca musicale al pubblico, per progetti come Canova e Giorgio Poi – e posso confermarlo specie dopo il concerto – se mi si chiedesse cosa condividono, risponderei: ufficio stampa e lingua italiana. Ed un solo album all’attivo, la cui esecuzione completa con l’aggiunta delle cover dà forma all’esibizione live. Cosa ha offerto quest’accostamento per un festival? Come ragiona un ufficio stampa che cura progetti così diversi?

I testi

Canova:  Ragazzi della notte con le giacche di pelle ad aprile, svecchiano l’immaginario sensuale anni ‘90 di Jerry Calà e Max Pezzali senza smarrirne l’efficacia e la solidità di conforto. Romanticismo millenial milanese, in cui la solitudine è il “dramma” che “rischia” di non farti uscire la sera. Smania di precipitarsi al bar pigliando multe con gli amici, e dopo mezzanotte di fiondarsi dalla tipa. Che poi si stufa. Ci si insulta molto, ma solo per genuinità. Non so che film guardare, non so che viaggio fare: quindi cene da Mc Donald, youtube in macchina, appartarsi nei parcheggi. Lei è una stronza e alle gite al mare litighiamo, meglio fossi andato a lavorare, guarda quella come s’è conciata. Realismo didascalico ottimamente congegnato per ipovedenti del sabato sera. Fidati di me non sono un latin lover // rido perché tu mi chiami latin lover.

Giorgio Poi:  Quando l’ho incontrato gli ho chiesto se avesse un riferimento letterario e m’ha risposto: Flaiano, il ridevole antipoeta de il mio gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura; che ha una tale sfiducia nel futuro che fa i suoi  progetti per il passato. Saluti commossi al vecchio appartamento, annegamenti nelle stanze di palazzi comunali, le liriche tracciano un percorso rallentato di rimembranza basato su un procedere archeologico del pensiero. Ombrello, cuscino, lenzuola; tovaglie, divano, sveglia; macchina friggitrice, naftalina, ruggine; frigo, acciughe al gratin, pasta al pesce: in Fa niente quella del catalogo degli oggetti non è un’urgenza qualunque, la sfasatura nostalgica è creata dal disincanto impacciato secondo cui ogni quotidiano sentimento è destinato a reificarsi in utensili capaci di sottoporre il soggetto ad una surreale, vera e propria ossessione, in un modo più lucido, ridicolo e intenso delle emozioni stesse. Abolito il ritornello, la sintassi è complessa, dislocata: lunghi periodi singhiozzano di frasi lampo e si alternano a lunghi versi indipendenti, secondo procedure di accumulazione mai banali.

Resa live

C: C’è del divismo sostanziale, giocato con una certa autorevolezza. Matteo Mobrici copre il microfono con la mano, sembra baciarlo, a occhi chiusi, si sbraccia, testa verso l’alto e labbro inferiore attaccato al microfono, lascia cantare al pubblico quasi tutti i ritornelli. La prestazione musicale è ordinaria, scolastica, secondo il più classico pop cadenzato, il basso potrebbe non esserci e a suo sfavore si piglia qualche controtempo virtuoso il batterista, Gabriele Prina. Riescono a lamentarsi a più riprese del palco piccolo, dei fili ingarbugliati per terra, dell’asta del mic difettosa. Menzione speciale per esecuzione alla tastiera di La festa e cover di Chissà se stai dormendo.

GP: Posatissimi, il distacco che crea il trio chitarra-basso-batteria è funzionale al più sentito dei coinvolgimenti. L’apertura con Paracadute arpeggiata in distorsione sublima in anidride solforosa Anima Latina, La Sposa Occidentale di Battisti. Matteo Domenichelli al basso compie prodigi, dipinge melodie sincopate seguendo linee rapidissime con la seraficità di un pittore. Le dilatazioni strumentali dei finali di Abbronzatura e Niente di strano (la prima impreziosita dal freestyle impazzito in minore di un flauto dolce) creano una parentesi di sospensione temporale che ingabbia piacevolmente nella dimenticanza, in un godimento doloroso che sembra poter non terminare mai e andare avanti ad libitum, generando climax ascendente di follia. Rispetto alle cover di Aurora e Il mare d’inverno, proprio non riesco ad immaginare scelta ed esecuzione più riuscite. Il migliore live italiano in questo momento? 

Pubblico

C: Salta, spinge, urla, composto da giovanissimi: guardami! siete bellissimi! guardami!. Sovrastano la voce di Mobrici stonando con disinvoltura tale da convincermi che la maggior parte sia venuta per cantare e non per ascoltare. Sacrosanto, c’è chi apprezza, non sono pochi (eufemismo). Una parte, al termine, invoca addirittura che si prosegua ancora al posto di Giorgio, sai adesso che palle!; e si sposta dietro per l’esibizione successiva, creando un piacevole ricambio sotto palco.

GP: Concentrato e abbandonato, pende e dipende da ogni singola nota del trio. Sembra uno stuolo di tecnici venuto a controllare che tutto andasse per il meglio, trovatosi poi sorpreso e commosso da una perfezione inconcepibile se non in presa diretta.

Conclusioni maledette

Maledetta Primavera ha dunque offerto uno spaccato del cantautorato italiano indipendente fra i più completi possibili, accostando i due poli opposti entro cui si muovono tutte le altre band, dai Management del dolore post-operatorio ai Gazebo Penguins, per citarne solo due. Questi ultimi, peraltro, ad oggi sempre sviluppati da Sporco Impossibile, che con strategie di comunicazione molto attente ad una precisa analisi del reale e dei suoi canali di trasmissione (nell’intervista sopracitata fanno riferimento a Walter Benjamin e Guy Debord), promuove avanguardie paradossalmente anti-pubblico, diversifica molto la propria cura per ogni progetto con un’estetica fedele ai contenuti, arricchendoli: così riuscendo nel successo più compiuto, quello della selezione del meglio possibile per ogni possibile pubblico.

Lo Sporco Impossibile è un compromesso geniale di precisa stravaganza, come il Maledetta Primavera.