Oggi vi raccontiamo velocemente i nostri pensieri su una manciata di dischi usciti negli ultimi giorni: il ritorno dei tUnE-yArDs e dei The Go! Team, il terzo buon disco dei Porches, la porcata immonda dei Fall Out Boy e l’album di debutto della super band italiana Generic Animal.

Generic Animal – Generic Animal

Come creare un progetto pop che differisca dai mille progetti pop all’attivo nella scena ‘indie’ italiana? La risposta di Generic Animal sta nell’arruolare i nomi più interessanti degli ultimi anni pescando tra vari generi eccetto, appunto, il pop. Il progetto di Luca Galizia dei Leute si avvale dei testi di Jacopo Lietti (Fine Before You Came), della produzione di Marco Giudici e Adele Nigro (Halfalib, Any Other) e di ospiti come Birthh e M¥SS KETA ai cori. Ma non è solo la presenza di nomi eccelsi a rendere Generic Animal un gran disco. L’originalità spiazzante di Generic Animal sta nello scegliere un pop minimale, in netta opposizione rispetto ai synth aggressivi e ai one-liner ormai di tradizione, un pop in cui la produzione raffinata di Giudici affianca spesso il piano alla chitarra acustica – la stessa che avevamo scoperto in Falò – Spento dei Gomma. Difficile definirne su due piedi le influenze: qualcuno giustamente vi parlerà di r’n’b, qualcuno addirittura di emo-trap (stop trying to make emo-trap happen comunque), io invece ci ho sentito un vago King Krule ed un più netto accenno ai Dirty Projectors – anche nella voce, vulnerabile ed emozionante sia nella bellissima Tsunami nella prima metà dell’album che nel lato B, più collettivo, di Qualcuno che è andato. Generic Animal è la prova di un talento che non necessita di adattarsi a schemi preimpostati per brillare di luce propria.

Voto: 7.6Claudia Viggiano

Fall Out Boy – M A N I A 

Giuro che era da un po’ che pensavo che i Fall Out Boy fossero morti e sepolti, che Patrick Stump fosse giudice in qualche talent americano e che di Pete Wentz rimanesse solo un ricordo sbiadito sui muri di qualche ex-adolescente. E invece dopo Infinity On High (ultimo ricordo che ho di loro) la loro carriera è continuata contro ogni aspettativa, e oggi mi approccio al nuovo M A N I A come se mi stessero per operare alla prostata. Del pop-punk degli esordi è sparita ogni traccia, sostituita da brani da fare invidia ai Chainsmokers, e che risulterebbe fastidiosa pure alla radio. Un pezzo come HOLD ME TIGHT OR DON’T è paragonabile alla peggiore Shakira, Church fa rivalutare positivamente gli ultimi Simple Plan e Sunshine Riptide tira fuori Burna Boy e ammicca spaventosamente al reggaeton. Non so se a Guantanamo usino ancora la musica come forma di tortura, ma M A N I A assomiglia spaventosamente ad una pena capitale.

Voto: 2.4 – Sebastiano Orgnacco

tUnE-yArDs – I can feel you creep into my private life

Il biennio 2016/17 è stato un periodo complicato, sicuramente tra i più difficili della storia americana recente e che, come accade nei momenti più critici, ha costretto molti artisti a prendere posizioni e ad affrontare realtà che altrimenti sarebbero state fuori dal proprio spettro. Tune-Yards non è mai stata tra questi, il suo occhio è sempre stato politico e non ha mai negato le influenze che la musica nera ha avuto sulle sue produzioni. Con I can feel you creep into my private life però la musica di Merrill Garbus fa diversi passi avanti rispetto ai precedenti: un disco danzereccio quanto complicato, l’album analizza temi scottanti con l’occhio di chi è cosciente della sua posizione privilegiata e problematica nei confronti di appropriazione culturale e razzismo (Colonizer). Se l’album non trova risposte sul piano lirico (“I am exceptional / I am a contradiction”), su quello musicale la sperimentazione è onnipresente, virtuosa e intricata ma con un forte accento su ritmi ballabili, voci soul (Heart Attack in apertura), bassi estremamente groovy (Coast to Coast), percussioni spigolose (ABC 123) e chiare influenze jazz sottolineate dalla presenza del sax (Who Are You). Un album poliedrico e ambizioso su tutti i lati, tra i quali il più riuscito è sicuramente quello musicale.

Voto: 7.3 – Claudia Viggiano

Porches – The House

La musica di Aaron Maine ha subito una serie di cambiamenti non di poco conto negli ultimi anni. Se le prime take di inizio carriera, contenute nei graffianti suoni del rock lo-fi, al tempo determinati dalla comitiva formata da Frankie Cosmos, Alex G e Girlpool, venivano presentate al pubblico sotto una calda veste (quasi) attinente al post-hardcore, adesso, con la maturità raggiunta, la finta messa a nudo dei primi album viene vestita dall’eleganza dei freddi suoni di The House. L’avvicinamento al synth pop contemporaneo (Akeren), ai beat techno (Goodbye) e all’etereo stile Newyorkese (Country)(tuttora casa di Maine) hanno portato l’artista e la sua band ad una conoscenza più profonda di un pop razionale fondato sull’estetica. Quest’estetica del progetto Porches, basata su di una malinconia difficile da mettere a fuoco in quanto percettibilmente lontana, viene ora espressa da una produzione più studiata, dal sentimentalismo degli accordi di pianoforte, dalla lontananza della voce innaturale di un autotune sempre presente. Il senso di intimità contenuto nel disco è frutto del desiderio di espressione di Maine che decide di lasciare che la corrente trasporti quella sfera affettiva cresciuta con tempo e mai pienamente espressa. La continua evoluzione e ricerca di nuovi suoni caratterizza ormai questo progetto, diventando, passo dopo passo, espressione solubile di un singolo.

Voto: 7.3 – Claudio Carboni

The Go! Team – SEMICIRCLE

Nella vita ci sono poche certezze, anzi pochissime. Una di queste sicuramente è il divertimento e la felicità che si provano ad ascoltare un disco qualsiasi dei The Go! Team. Giunti al quinto album, la band inglese, riesce sempre a far festa nelle proprie canzoni: questa volta il tutto viene suonato a mo’ di parata kaleidoscopica multicolore perfettamente descritta nel video di Semicircle Song.
Il livello qualitativo è lontano anni luce dal favoloso debutto Thunder, Lighting, Striking, ma il filo conduttore rimane invariato da sempre: qualche vecchio sample rivisitato, strumenti da orchestra e da banda musicale, cori multietnici e poliglotti e un meltin pot di stili, culture, razze e quant’altro. Se vi serve un disco – o una discografia – da far suonare alla festa di compleanno nel giardino di casa di vostra, siete nel posto giusto.

Voto: 6.5 – Andrea Pelizzardi