Oggi vi raccontiamo velocemente i nostri pensieri su una manciata di dischi usciti negli ultimi giorni. Dall’ottimo debutto di Noga Erez al brutto disco Dan Auerbach dei Black Keys, ma abbiamo anche Chastity Belt, TOP e Beach Fossils.

Dan Auerbach – Waiting On A Song

Nel secondo album solista di Dan Auerbach non c’è traccia del blues e di quel rock-garage lo-fi che a tanti aveva fatto apprezzare il primo album Keep It Hid. Pubblicato a distanza di 8 anni e milioni di dischi venduti con i Black Keys, è un lavoro che nonostante i proclami e l’insieme di musicisti storici coinvolti, risulta fin da subito banale e senza anima. 10 canzoni che si muovono tra il country-rock americano più classico e quello che potremmo definire tranquillamente dad rock, spensierate e leggere al punto da risultare quasi stucchevoli. Registrato a Nashville con musicisti locali è stato descritto da lui stesso come “A whole history of everything I love about music”; vede anche la partecipazione di Mark Knopfler alla chitarra nel singolo Shine On Me, ma ciò non basta a salvare nel complesso il disco. Cosa ci si poteva aspettare da chi ha venduto milioni di dischi ed è qualitativamente regredito sempre di più? Accordi in maggiore, fischietti, trombette. Il “suono di quando i cazzi vanno bene.”

Voto: 4.0 – Mobutu’s Butcher

TOPS – Sugar At The Gate

Partiti da Montreal alla volta di Los Angeles per registrare il loro nuovo album, i TOPS non hanno lasciato per strada il loro amore per un dream pop delicato, a tratti quasi minimale. Il risultato di questo viaggio è Sugar at the Gate, un lavoro che invita a svuotare la mente e ad abbandonarsi alla musica senza pensieri, cullati dalla voce di Jane Penny e da canzoni che, al di là di casi isolati come Dayglow Bimbo (una canzone che ricorda molto gli Yuck, e che sembra qui quasi per caso) sembrano fatte apposta per rilassarsi. A volte, quasi per addormentarsi. Si, perché le melodie di quasi tutti i brani, seppur piacevoli, hanno raramente un guizzo, un qualche elemento capace di creare risvegliare la curiosità di chi ascolta. Si limitano a scorrere, una dopo l’altra, lasciando difficilmente un’impronta nella memoria. Il risultato è un album perfetto da prescrivere ai propri amici stressati, che hanno assolutamente bisogno di una terapia d’urto per combattere le loro ansie, almeno per una mezz’ora. L’importante è tenerlo lontano, molto lontano da eventuali amici narcolettici.

Voto: 6.8 – Alessandro Lapetina

Chastity Belt – I Used To Spend So Much Time Alone

Dopo l’ottimo esordio (No Regrets) ed una buona conferma (Time To Go Home), le Chastity Belt pubblicano il loro terzo lavoro: I Used To Spend So Much Time Alone.
Il disco non esce dalle linee guida di jangle pop, post-punk e lo-fi dei precedenti lavori e se si possono captare delle velleità da indie-pop-hits (Different Now, Caught In A Lie), d’altra parte ci sono pezzi interessanti come la brit-grungy Stuck (con un intro Smiths-iano ed un ritornello tra L7 e Sonic Youth) e la conclusiva 5am una strofa dal levare incalzante (presa pari pari da Unh Tiss Uhn Tiss Uhn Tiss dei Bloodhound Gang) e un ritornello dreamy, impreziosendo il tutto con un assolo conclusivo che ricorda in parte quello di A Forest dei Cure.
I 42 minuti del disco, purtroppo, si reggono su pezzi senza vitalità e alla lunga davvero inconsistenti: dal dream-gaze di It’s Obvious, alla lenta catarsi di Used To Spend e all’acustica What The Hell che sembra uscita da un brutto outtake di Adore degli Smashing Pumpkins.
La disperata ricerca di essere catchy a tutti i costi, ha fatto perdere quella rabbia e ricercatezza nelle melodie che l’aveva contraddistinta, focalizzandosi su quello che già sapevano fare perdendo mordente. Il disco sembra fatto di tante bombe che sono sempre lì per esplodere, e più l’attesa cresce più ci si annoia; il nuovo lavoro non è quindi da buttare, ma dalla band di Julia Shapiro ci aspettiamo di meglio.

Voto: 6.5Gianluca Marian

Beach Fossils – Somersault

Con Somersault, i Beach Fossils offrono una risposta concreta al precedente sound di Clash the Truth, deviando verso una direzione più classica, dovuta all’accompagnamento di archi e pianoforti, scaricando le ultime tensioni lo-fi e quel poco che rimaneva delle atmosfere shoegaze precedenti. La prepotente linea di basso che prima era solita dirigere i brani, viene messa da parte da delle quiete tastiere e dei ritmi secchi sulla linea dei Real Estate (se non per un paio di eccezioni con  e Down The Line) e la band si cede alla sperimentazione per via delle collaborazioni presenti nel disco (si veda la seconda traccia Tangerine insieme a Rachel Goswell e l’intermezzo vagamente R&B con Cities Aviv).
I Beach Fossils hanno saputo rinnovarsi, buttando giù un disco che spazia tra vari generi e tende verso la novità, mirando verso nuove sonorità e percorrendo un sentiero che non parrebbe aver intralci.

Voto: 7.6 – Claudio Carboni

Noga Erez – Off the Radar

Chiassoso, seducente, divertente e politico. Senza mai contraddirsi, Off the Radar è questo ed altro, tutto assieme. Dall’assertività di Balkada al melodioso crescendo finale di Junior, Noga Erez prende a piccole dosi dalla musica di Grimes, M.I.A. ed FKA Twigs per una prima prova decisamente matura ed originale. Le produzioni, che abbracciano zone diverse e lontane del panorama elettronico, permettono d’immergersi completamente nelle liriche aggressive e politicizzate della musicista israeliana, che trattano di guerra e condizione femminile in Israele (lei è nata e vissuta a Tel Aviv). Nonostante questo è significativo che due tra i pezzi più riusciti, Toy e Dance While You Shoot, suonino come dei remix da club. Sperimentale e audace anche nei suoi momenti più calmi, Off the Radar è uno dei debutti migliori dell’anno.

Voto: 8.0 – Stefano Rosso