Oggi vi raccontiamo velocemente i nostri pensieri su una manciata di dischi usciti negli ultimi giorni. Dall’ottimo ritorno dei Paramore all’ennesimo disastro dei Linkin Park, ma abbiamo anche The Kolors, PWR BTTM, Wavves e tanti altri.
PWR BTTM – Pageant
Con il secondo LP del duo queer punk PWR BTTM arriva il tumulto delle molteplici accuse di violenze sessuali rivolte a Ben Hopkins, che hanno visto la band in caduta libera dopo la cancellazione del tour e lo scioglimento del legame con l’etichetta Polyvinyl (che ha addirittura ritirato i dischi dagli scaffali il giorno dopo l’uscita). Risulta difficilissimo a questo punto recensire Pageant: è un disco che parla dell’esperienza queer con un’onestà spiazzante, ma che diversamente da molte altre realtà musicali preserva una percentuale alta di autoironia e riesce ad essere triviale (Answer My Text) senza essere superficiale (LOL). Con degli arrangiamenti più ricchi e delle idee più chiare che nel precedente Ugly Cherries, Pageant era destinato a consacrare la band come uno dei massimi punti di riferimento della scena musicale LGBT; a giorni di distanza dalle accuse, però, non possiamo che ascoltarlo con l’amaro in bocca.
Voto: 7.4 – Claudia Viggiano
Paramore – After Laughter
I Paramore hanno finalmente accettato di essere una band pop. Svestitisi di quel pop-punk che gli stava stretto da troppo tempo, il trio a corto di bassista di casa Fueled by Ramen ha deciso finalmente di reinventarsi con un pop che – a differenza delle parabole discendenti dei colleghi Fall Out Boy e Panic! At the Disco – vince perché si colora dei toni del funk e degli anni ’80. Tra i punti di riferimento Blondie ma anche HAIM, Carly Rae Jepsen, Charli XCX, Sky Ferreira: Hayley Williams si fa spazio tra le regine del pop che non ci vergogniamo di amare – quello groovy con quel tocco di decadenza e disillusione di chi è cresciuto col punk-rock. After Laughter, un paio di ballad a parte, è un grande album estivo.
Voto: 7.1 – Claudia Viggiano
The Kolors – You
Cosa vale la pena sapere del nuovo album dei The Kolors? Che You, purtroppo, è già il terzo e che musicalmente e dal punto di vista dei contenuti è insignificante quanto i precedenti. C’è un featuring del padre del trap Gucci Mane su una base prodotta dal duo house napoletano Daddy’s Groove in What Happened Last Night (qualcosa che più a caso è difficile concepire), un pezzo di quasi 2 minuti di sola chitarra in cui Stash si crede David Gilmour nel Live a Pompei ma finisce con l’essere la brutta copia di Beppe Maniglia (Souls Connected), mentre il resto dell’album vede sempre belli capelli scimmiottare senza alcun stile i suoi idoli Michael Jackson e Freddie Mercury. I testi sono adatti a bambini delle elementari o al massimo scuole medie, musicalmente sono il nulla più assoluto, dopo Kekko dei Modà e i Modà la cosa peggiore mai capitata alla musica italiana. Un disco inutile fatto da gente inutile per una fan base di lobotomizzati.
Voto: 1.3 – Mobutu’s Butcher
Valerian Swing – Nights
Terzo lavoro per il trio emiliano d’esportazione, che con Nights porta l’ennesimo colpo vincente in casa To Lose La Track. Il math rock a gamba tesa dei Valerian Swing si avvale di contaminazioni post-rock e progressive, vantando un gusto maniacale per la tridimensionalità dei suoni e per l’equilibrio tra le parti. Nights, frutto di un cambio di formazione in cui la chitarra baritona ha sostituito il basso, è un album maturo che bilancia perfettamente epicità, crescendo e atmosfera, concedendosi occasionalmente al cantato (Five Walls). Nights è un album da cui farsi (s)travolgere senza interruzioni.
Voto: 7.2 – Claudia Viggiano
Girlpool – Powerplant
Le Girlpool hanno dimostrato di avere l’estro per realizzare canzoni catchy, senza essere banali sia nelle melodie che negli intrecci vocali. Il passaggio in Anti- (Wilco, Japandroids, Deafheaven) non poteva che giovare al raggiungimento di una consapevole maturità artistica in questo nuovo lavoro: Powerplant.
Se il pezzo omonimo e 1,2,3, sono la naturale evoluzione del sound della band losangelina, canzoni come le dream-gaze Sleepless e She Goes By, il diamante grezzo Corner Store o la scheggia post-punk di High Rise, aprono alla band numerose possibilità compositive, comparandole alle colleghe Waxahatchee e Frankie Cosmos. Powerplant, è per la prima volta a tutti gli effetti un lavoro da power trio: l’aggiunta della batteria ha reso le sonorità più ricche sia nella parti pulite, sia in quelle fuzzy; il minimalismo del precedente Before The World Was Big, viene spazzato via da un basso e una chitarra vigorosi. I punti di riferimento dei Pixies/Breeders e Pavement, vengono assimilati e resi personali; la summa del disco è Soup, un mix ottimamente riuscito tra grunge, jangle pop, dai toni cupi ed epici.
Voto: 7.6 – Gianluca Marian
Wavves – You’re Welcome
You’re Welcome raccoglie tutte le idee di Nathan Williams riuscendo nell’intento di fare un passo indietro necessario per non diventare la brutta copia di se stesso. l’accostamento a King Of The Beach è doveroso, allontanandosi dai dischi più recenti; ne sono la prova la ricerca dell’hook perfetto, i cori accattivanti e la batteria limitata a tenere il ritmo. Il surf è sempre ben centrale nella produzione Wavves, che sia orientato verso il pop-punk (Daisy, Exercise), il garage (No Shade, Stupid In Love) o lo psych-pop (You’re Welcome, Come To The Valley). I momenti migliori restano quelli nei quali riescono a ibridarsi mantenendo intatta la loro personalità: in Milion Enemies sembra di sentire dei Tame Impala ubriachi su intrecci melodici dei The Shins, Hollowed Out cita senza troppo nascondersi Apache dei The Shadows, imbruttiti ed in overdose d’acidi; Animal, poi, è il pezzo più pop del disco, quasi un outtake di King Of The Beach, dove non avrebbe sfigurato tra una Post-Acid e una Green Eyes.
You’re Welcome sono 32 minuti di power surf come solo i Wavves sapevano sanno sprigionare, Il passaggio da Warner a Ghost Ramp ha stranamente reso la produzione più pop, un grosso pregio dato che questo sarà uno dei dischi più ascoltati dell’estate.
Voto: 7.0 – Gianluca Marian
!!! – Shake The Shudder
Il dance-rock, o punk-funk è oggi un genere in terapia intensiva. I !!! sono tra i pochi che lo tengono in vita, ma in questo nuovo album, oltre che sui dancefloor più amati dai loro fan (Dancing is the Best Revenge, Throw Yourself in the River) ci accompagnano su altri più inediti, almeno per loro. Sono quelli calcati da gente come Groove Armada o Basement Jaxx, su cui i !!! ci fanno fare due salti con The One 2, sono quelli prettamente disco di NRGQ, con tanto di back voice femminile, urletti, e pezzo di tastiera ricalcato su quello di Funkytown dei Lipps Inc. (punto più alto dell’album, a mio parere). Sono anche quelli un po’ funky esotici di Throttle Service, e quelli groove house di Our Love U Can Get (in cui per un momento, ma solo per un momento, sembra di ascoltare loro).Shake the Sudder è un album che può farsi amare da chi conosce il gruppo da sempre, ma anche da chi, magari, li scopre per la prima volta. Sai mai che sarà proprio uno di questi, magari, a riscoprire che con chitarra, basso e batteria si può anche far ballare.
Voto: 7.3 – Alessandro Lapetina
Jlin – Black Origami
La carriera di Jlin, pur breve, parte con successo nel 2015 con l’acclamato Dark Energy e, grazie al talento cristallino della giovane producer, si costella ben presto di endorsement importanti: Aphex Twin, William Basinski, Holly Herndon, Wayne McGregor, Rick Owens.
Le radici di questo Black Origami (di nuovo fuori su Planet Mu) affondano, nuovamente, in profondità nell’asfalto dei ghetti di Chicago, lo stesso asfalto su cui giovani breaker si spezzano le ginocchia a suon di footwork. Le atmosfere sono scurissime, i bassi pulsano forte e le percussioni tribali irrompono senza mai esondare; a donare luce alle composizioni ci pensano innesti strumentali e vocali dal fascino smaccatamente orientale, pescati in un viaggio che parte dalla vegetazione fitta dell’India e che, passando per le trafficatissime strade di una metropoli esotica, guarda ora Sol Levante, ora all’Africa più nera.
Black Origami è per Jlin non solo una riconferma: è il prodotto che la elegge allo status di una delle più eclettiche e, in generale, migliori producer sulla piazza, un piccolo gioiello che illumina le tenebre di molte parti del globo.
Voto: 8.2 – Simone Zagari
Linkin Park- One More Light
Dopo 17 anni di attività, i Linkin Park con il settimo album One More Light sono riusciti a produrre un disco orribile da qualunque punto di vista lo si voglia guardare, talmente sconclusionato e privo di un filo conduttore da risultare un’accozzaglia di canzoni che starebbero male anche se fossero state assemblate per una compilation. Con la scusa di sperimentare e intraprendere nuove direzioni musicali sono riusciti, in un colpo solo, a perdere buona parte dei vecchi fan (se non tutti) e a non conquistarne di nuovi, non male come risultato. Si va dall’EDM al Pop fino al Rap, nemmeno la partecipazione di Pusha T e Stormzy riesce a salvare questo disco che non si capisce a che fetta di pubblico sia rivolto; potrebbe andare a malapena bene come musica da mettere come sottofondo in anonimi e squallidi centri commerciali, innocua e insignificante al punto da non essere notata da nessuno. I Linkin Park di oggi sono una band senza più identità e alcuna ragione di esistere nel 2017.
Voto: 2.1 – Mobutu’s Butcher