Iniziamo col fare ordine: il progetto Ejecta ha pubblicato il disco Dominae nel 2013 e poi ha dovuto cambiare monicker in Young Ejecta a causa dell’irreprensibile DJ Ejeca, perché troppo simile. Però son sempre loro, Leanne Macomber dei Neon Indian e Joel Ford dei Ford & Lopatin (che si chiamavano Game, che hanno dovuto cambiare monicker per il rapper The Game, ok?). Sono tornati con The Planet, un disco a metà tra l’LP e l’EP, dalla durata di 24 minuti che infatti saggiamente hanno annunciato come mini album.

La copertina ne ricalca già un po’ l’andazzo musicale. Una cornice di oscurità e atmosfere, suoni liquidi, ed in mezzo una voce candida, nuda. L’oscurità che circonda e delimita il disco e le tracce è Joel Ford; la signorina al centro, creatura aliena sulla vaga falsariga di Bjork (come personaggio artistoide) e Grimes (come suoni) è la cara Leanne Macomber, con la sua scelta della nudità (Ejecta, il suo “personaggio” in questo progetto, appare sempre nuda) come non appartenenza a nessuna gabbia estetica-musicale che l’avvicina più ad un’artista che non ad una musicista synthpop. Questa dicotomia tra oscurità e candore non basta a sollevare un disco un po’ così, che lascia inappetenti anche perché c’è poco da riascoltare: dei sei pezzi, un paio sono davvero azzeccati, gli altri sbiadiscono.

Mentre la prima traccia di The Planet, Into Your Heart, ci accoglie con degli estremi da clubbing neanche male (la cassa dritta e i bassi, in pratica), abbastanza sparato, dal secondo brano – Welcome To Love, il singolo riuscitissimo – in poi si fa strada un synthpop corposo. Recluse ad esempio ha in sé i suoni migliori del disco, un’atmosfera straniante da assaporare ad occhi chiusi, ma non sempre siamo così fortunati: alcune parti suonano male, i synth spingono eccessivamente e l’equilibrio tra nero e bianco si spezza – anche perché la voce di Macomber è meno riverberata e più asciutta, meno presente rispetto a Dominae. Tutto diventa più prosaico, meno alieno. Non che ci sia niente di male nei synthoni grossi, nei suoni corposi, nei pad d’atmosfera un po’ eterei; però alla fine il disco non morde. Sembra qualcosa di già ascoltato, qualcosa di cui non si sentisse il bisogno.

Non è male l’idea di base, lo sviluppare un suono personale, l’apparenza artistica, registrare i dischi; dispiace però che alle volte capiti che si vada a creare una sorta di inflazione musicale o di genere, e con dischi come The Planet si cerchi di rompere quest’inflazione andando invece ad ingrossarla. Il fatto poi che duri poco anziché aiutare la fruizione rende più labile il ricordo dell’identità di quest’opera, offuscandone i lati positivi nella fine prematura. Insomma, la non sufficienza qui è letterale: nonostante il disco non sia brutto, non è abbastanza.

Tracce consigliate: Welcome to Love