Mio Dio, le mie orecchie.
Gli You Me at Six sono una band inglese, attiva da ormai dieci anni nel campo del power pop/pop punk. E già qui…
Questo Cavalier Youth è il quarto album (altrettanti sono gli EP finora pubblicati) di una carriera ricca di successi commerciali ed economici: Cavalier Youth è piombato al volo al top delle classifiche di vendita inglesi, per dire. Perfida Albione!
Per parlarne bisogna partire da una considerazione: avete più di quindici anni e avete passato il periodo di ribellione adolescenziale che in tanti trascorrono diventando e definendosi punk ma ascoltando al massimo massimo i Green Day e fumando di nascosto le MS  sottratte al nonno?
Se no, finite qui questa recensione: questo album è bellissimo, 10/10 e sarà indubbiamente una delle colonne sonore della vostra adolescenza. Godetevela perchè avrete modo di ripensarci tra il tragico e il comico fra qualche anno. Se continuate a leggere nonostante il mio avvertimento riuscirete solamente ad arrabbiarvi e minacciarmi di cose orribili nei commenti, il che turberebbe alquanto il mio sonno, col quale ho un rapporto già problematico. Non rovinatemi la vita, per favore.
Se sì, continuate pure a leggere.

Come dicevo, i nostri sono dediti a sonorità che abbiamo visto declinate in tante salse nell’ultimo decennio. Non corre poi tanta strada tra gli You Me at Six e mediocri tarpanate iperprodotte metalcore/deathcore/salcazzocore à la Bring Me the Horizon e compagnia (mal)cantante. Siamo nel campo del prevedibile a tal punto che potreste immaginare da soli quali sono gli ingredienti del successo dei nostri cinque bravi ragazzi inglesi: riff di chitarra melodici e marcissimi, nel senso che suonano talmente vecchi che sono ormai in decomposizione, coretti sui ritornelli, paraculismo generale un po’ dappertutto. Sui testi, spendo una singola parola: adolescenziali.

Si parte con Too Young To Feel This Old che è poi la perfetta esemplificazione di quanto detto sopra: c’è il riffettino in apertura, il rullante a far crescere la tensione (quale tensione?) prima del ritornello ed eccolo lì, zac, il coro sul refrain.
Cosa cambia da questa traccia a buona parte delle altre è, in verità, soltanto il testo. Gli You Me at Six tuttavia ogni tanto decidono di mescolare le carte in tavola: il problema è che lo fanno ribaltando il metaforico tavolo da gioco con un calcione dato con le Converse decorate con le fiamme che sicuramente portano, se non loro, almeno tanti dei loro fan. Su Fresh Start Fever fanno della caciara non richiesta con un terribile tributo al peggio emo degli anni 2000 con momenti melodici e momenti stupidamente caotici; altrettanto succede su Win Some, Lose Some alla quale il giro di chitarra iniziale dà un feeling hard rock che permane per tutta la canzone ma sia chiaro, hard rock è un termine da prendere con le pinze in questo caso. Altra leggera variazione sul tema con il pop radiofonico per Be Who You Are e veramente poco altro da segnalare a livello generale di album.

Una prova da dimenticare al 100%, oserei perfino dire un gruppo da dimenticare al 100% e da rispedire a fine anni 90 – inizio anni 2000 dove potranno senza alcun dubbio fare a gara con i loro degni compari dell’epoca. L’unica cosa che riesco a salvare è la copertina: scusatemi, sono un tenerone.

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