La copertina ci aveva fatto così orrore che ci abbiamo messo mesi a trovare il coraggio di ascoltare anche tutte le canzoni. La paura, si sa, si lega indissolubilmente all’istinto di sopravvivenza, anche se solo auricolare. Finalmente ce l’abbiamo fatta, abbiamo ascoltato Mosquito fino alla fine: quarta e attesissima prova in studio per i Newyorkesi Yeah Yeah Yeahs, quest’album vede un’ulteriore cambiamento di stile per i nostri cari, che, abbandonati i tratti garage/blues che avevano caratterizzato i primi lavori, si muovono verso orizzonti molto più sobri e “confezionati”, eccezion fatta per la voce della bella Karen, che rimane (quasi) la stessa di sempre. L’album si apre su Sacrilege, un buon pezzo dalle tinte quasi soul, ottima prestazione vocale, dinamica e ispirata, arrangiamento sobrio e gradevole. Un crescendo gestito magistralmente ci guida verso la fine del brano, che accentua le tinte voodoo/gospel con una marea di cori in outro. Segue Subway, un pezzo un po’ scialbino, molto atmosferico ma poco coinvolgente; un cantato abbastanza lagnoso, una parte strumentale molto d’accompagnamento. Poi la title track Mosquito, brano sicuramente più vicino alle precedenti produzioni degli YYYs, con il cantato da mattah della Karen portato all’eccesso, percussioni ipnotiche, arrangiamento gestito dignitosamente. Dell’ascolto rimane poco, un brano carino e nulla più. Seguono Under The Earth e Slave, due brani nel complesso noiosetti, che cercano con scarso successo di conciliare le influenze degli esordi con un gusto più spiccatamente pop e maturo; operazione a tratti anche riuscita, che non ci sentiamo tuttavia di considerare “missione compiuta” per il trio di Brooklyn. These Paths porta invece alla luce le influenze più electro: su una base che di suonato ha quasi nulla si inserisce il cantato, che, a questo punto, ci sentiamo di considerare unico vero punto di coesione di quest’album, che appare invece per quanto riguarda la parte strumentale poco coeso e piuttosto confuso. Il successivo Area 52 torna invece su piste già battute; un pezzo onesto, fra i pochi di quest’album che riesce a farci muovere un po’ le testoline, e che, proprio per questo motivo, che costituirebbe di per sé un pregio, risulta qui assolutamente fuori contesto. A rendere Mosquito un disco ancora più qualunquista, capace di piacicchiare a tutti ma a nessuno fino in fondo ci pensa la traccia successiva Buried Alive, featuring con il rapper Dr. Octagon. Poi Always, un buon brano d’atmosfera, poi Despair, brano nel quale la confusione prende il sopravvento anche sulla frontman, che, iniziato il cantato come la più scialba imitatrice di Lana Del Rey, sale di un’ottava a raglio d’asino per tornare sui suoi registri consueti. Karen che cazzo fai. Chiude l’album Wedding Song, altro buon pezzo d’atmosfera, un po’ pesante a tratti, ma nel complesso riuscito. Poi altre quattro tracce, verisone acustica, live, verisone salcazzo -per far contenti proprio tutti.

Questo Mosquito è un album stanco e poco pregnante, che cerca disperatamente di allargare il target proponendo una carrellata di possibili svolte e sonorità, che spesso fra loro c’entrano pochissimo. Unico caposaldo degli YYYs la voce di Karen O, unico elemento di coesione fra le tracce dell’album e di collegamento con i lavori passati. La cosa più brutta di questa produzione rimane comunque la copertina, che non trova fortunatamente eguali nei pezzi dell’album, che lo rendono nel complesso un disco sufficiente, dignitoso ma non certo esaltante.

Tracce consigliate: Sacrilege

6.3/10