Sono in treno, torno a casa da Milano.
E’ uscito il nuovo album di Yann Tiersen e non vedo l’ora di ascoltarlo, decido che può essere un buon momento.
Prendo le cuffie, le attacco al portatile e chiudo gli occhi.

Ecco la title track dell’album, niente di banale, Infinity è soffusa, malinconica e nonostante sia priva di parti percussive non pesa. La bellezza sta nella sua ripetitività (a ricalcare la natura minimalista di Tiersen) e immediatezza, quest’ultima dettata anche da una durata relativamente breve per un brano strumentale (sorrido).
Slippery Stones sbilancia ma allo stesso tempo delizia con gli ormai rinomati pianoforti giocattolo di repertorio che con l’evolversi del brano risultano essere sempre più dissonanti, e quando arriva la voce (doppiata ma intellegibile, pacata e cristallina) diventa un inno, a tratti cupo e oscuro, a tratti abbagliante e solenne (arriccio il naso, mi distendo).
A Midsummer Evening, fa la sua comparsa quel tocco personale d’elettronica al quale Tiersen ci ha abituati ormai da anni e che si sta impadronendo delle sue sonorità sempre più prive di fisarmoniche e cazzetti vari; introduce e crescendo non può che stamparcisi in testa un paesaggio islandese, pian piano però prende il suo posto la voce e tutto si trasforma, senza esaltarci neanche più di tanto (mi risiedo, apro gli occhi e guardo fuori dal finestrino).
I quasi sette minuti successivi di Ar Maen Bihan sono un gran bel promemoria delle origini ormai sempre più contaminate del polistrumentista francese; una voce femminile sensualissima ci racconta di madre natura in lingua bretone contrapponendo sonorità tipicamente nordiche alla lingua natia del nostro caro rumorista, ci si innalza, si spalancano le orecchie e si piange perchè questa non è roba che si ascolta tutti i giorni, quei feedback che sembrano balene me li sogno la notte (…).
Lights somiglierebbe musicalmente ad un pezzo di Go Do di Jonsi se non fosse per quei synth taglienti, rimane lì, non colpisce e non innalza il livello che il disco ha raggiunto fino a questo momento (richiudo gli occhi cercando di concentrarmi per cogliere qualcosa in più).
La produzione è ispirata ai paesaggi nordici (registrata tra Islanda e Bretagna), dall’artwork e dalle sonorità lo si intuisce già benissimo e a conferma di questo Tiersen ci sottopone Grønjørd, cantata in Islandese, profonda sì ma abbastanza statica e ripetitiva (per qualche momento penso che non ci sia più niente che valga la pena di ascoltare in questo disco).
Steinn non te la aspetti. Ancora voce femminile, ancora sonorità scure e opache, arpeggiatori poderosi, chitarre acustiche (occhi chiusi, bocca spalancata).
In Our Minds segue la scia, un viaggio gradito tra le nostre sinapsi quasi a voler descrivere il flusso di impulsi nervosi di fronte ad uno spettacolo mozzafiato (chiudo la bocca e cerco di fare attenzione ad ogni minimo particolare).
Si torna a respirare con The Crossing, a dirla tutta preferivo le atmosfere buie di qualche minuto fa.
Il capolinea è Meteories, scritta a due mani con Aidan Moffat degli Arab Strap. Parla dritta ai nostri cuori con semplicità, sviscerando il concetto di amore e servendoci su un piatto d’argento centinaia di umori e stati d’animo, lasciandosi interpretare esattamente come il sentimento di cui tratta (sento che il disco è finito, apro gli occhi, sto zitto).

Preparate i fazzoletti ragazzi perchè con questo Infinity non è difficile farsi sopraffare dalle emozioni. Tiersen è sempre stato un maestro in questo e nonostante non si tratti di un capolavoro assoluto o del suo capolavoro più nello specifico, tentatene l’ascolto. Magari in viaggio, quando decidete di fare un passo un pò azzardato o quando vi piace pensare alle sicurezze che già avete, potrebbe ispirarvi così come potrebbe buttarvi giù definitivamente. In ogni caso bravo Yann, anche se aspetto ancora qualcosa che scalzi Dust Lane dal podio.

Tracce consigliate: Ar Mahen Bihan, Steinn.