C’è qualcosa di già sentito qui. Lo si avverte dai primi secondi di Valleys e lo si continua ad avvertire in ogni giro di tastiere, in ogni base di percussioni, in ogni verso cantato con voce baritonale e monocorde. Come ogni volta che ci si trova davanti a qualcosa di familiare è giusto chiedersi se quello che stiamo ascoltando sia troppo familiare, e quindi derivativo e noioso, oppure sufficientemente familiare, e quindi immediatamente piacevole.

Fortunatamente per i Working Men’s Club siamo davanti a un perfetto esempio del secondo caso.

Anzitutto, è giusto chiarire che l’effetto “già sentito” è sì presente per tutto il disco, ma è costruito da una miriade di frammenti: le fondamenta sono dark pop anni 80, certo, ma cosa sono queste schitarrate grunge? La voce del diciottenne Sydney Minsky-Sargeant ha toni piatti e profondi quasi da spoken word, ma cosa sono queste basi che virano ora all’industrial, ora al pop, ora all’indie? Abbiamo pensato a lungo come definire questo pasticcio creato dai Working Men’s Club (“La risposta Bronski Beat agli Health“, “I Prefab Sprout incontrano i Massive Attack“, “Stereo MC + White Lies = WMC“), ma la verità è che la band inglese è riuscita a fare un lavoro di decoupage tanto raffinato quanto invisibile, un collage di riferimenti e ispirazioni in cui i bordi si mescolano fino a sparire, rendendo obsoleto ogni epiteto.

Proprio come la classe operaia del loro nome i Working Men’s Club assemblano quindi i tasselli di un mosaico avvincente e incredibilmente personale, con uno stile che se inizialmente è riconoscibile per associazione diventa prestissimo riconoscibile per originalità. La già citata Valleys è un’apertura catchy ma mai ruffiana, John Cooper Clarke ci tuffa in un mare di synth primi 80 e chitarre primi 90, sul finale di Teeth il disco sorprende con una litania tanto acida quanto orecchiabile, Tomorrow al contrario costruisce un ritornello che vi si incollerà addosso come pochi altri quest’anno. Non c’è una vera e propria macchia su questo primo lavoro, alcuni pezzi risultano ovviamente più rifiniti di altri, dove il gruppo suona forse leggermente chiuso in se stesso, ma nel corso del disco si incontra una varietà di generi, stili e approcci tanto vasta da non annoiare mai.

Un debutto chimerico quindi, talmente tanto ispirato da diventare fonte di ispirazione. Sicuramente uno dei dischi synthpop (se così si può definire) più interessanti dell’anno, a mani basse uno dei gruppi della scena inglese da tenere sott’occhio. Complimenti ai Working’s Men Club, speriamo di risentirvi presto.

Tracce Consigliate: Valleys, Teeth, Tomorrow