Tirzah si presenta nel 2021 con uno stile cupo e scheletrico ed il chiaro obiettivo di dare un taglio al passato. Ma il risultato finale non è deciso come la sua ambizione. Il suo talento indiscusso ed alcuni brani di buon livello non bastano a rompere la monotonia del suo nuovo album Colourgrade che, purtroppo, naviga nel limbo della sufficienza.

Sebbene il minimalismo ossessivo rappresenti una delle sue cifre stilistiche, il precedente Devotion giocava parecchio sulle melodie e sulle evoluzioni interne. Questa tecnica ben rappresentava, o avrebbe potuto rappresentare, una nuova forma di R&B sul quale sperimentare ed incollare abstract, avant-pop e innovative destrutturazioni. In Colourgrade, invece, non si rintracciano elementi di particolare complessità, nonostante l’apparenza ed un ascolto disattento possano far sembrare il contrario.

L’album però è coraggioso. E senza filtri. Tirzah non si nasconde dietro nessuno schermo e racconta se stessa con essenzialità senza apparenti sentimentalismi, epurando la sua voce glaciale da qualsiasi tipo di sovrastruttura. Da questo punto di vista, l’aspetto migliore dell’album è il modo che scelto per comunicare. I temi affrontati, tra romanticismo e maternità, non vengono affidati ai soliti schemi banali, al contrario, qui viene mostrato l’aspetto più viscerale dell’essere madre e per esprimerlo vengono utilizzati subconscio e flussi di coscienza in una libertà creativa che rappresenta l’unico aspetto davvero sperimentale del suo sophomore album.

Peccato, perché se la musica si fosse adeguata a questo mood ed alla profondità di alcuni stati mentali, non ci si annoierebbe così tanto. I brani sono orecchiabili, ma hanno una così bassa quantità di accordi ed una così alta concentrazione di rumori e suoni basilari che affaticano l’ascolto ed indeboliscono l’intero prodotto, che alla lunga perde ogni pretesa iniziale. Ci sono dei momenti buoni ed è giusto rimarcarlo: brani come Send Me e Sink In spiccano nel mucchio e lo stesso vale – ma in misura minore – anche per l’horror ovattato di Tectonic, ma nel complesso tutto sembra più bello di quanto non lo sia in realtà.

E difatti, come spesso accade, i punti di forza diventano punti deboli. Ed è quello che succede anche in questa circostanza. L’album suona monotono e ripetitivo e a tratti risulta forzato. La volontà di trasmettere sensazioni quotidiane in un mix di sogno, realtà e notti insonni e l’ambizione di evolvere in modo così netto, l’ha portata a fare scelte artistiche che creano disordine più che innovazione, specialmente perché siamo nel mondo reale e non nei suoi sogni. Alcune tracce, in particolare, non hanno alcun senso di esistere e sembrano costruite senza criterio e buttate lì a caso con la scusa dell’onestà (vedi l’inconsistenza dei phaser dei 6 minuti di Crepuscolar Days o quella di Sleeping che sembra una demo della demo).

Nel tentativo di svecchiare il trip hop e di esplorare nuove forme di comunicazione, quella di Tirzah è un’operazione riuscita solo a metà. La strada intrapresa non è per forza quella sbagliata, ma al momento non sta portando da nessuna parte. Lo spettro di colori di Colourgrade è infatti troppo limitato e l’unico che risalta è il grigio, ma è uno di quei grigi senza sfumature che ricordano solo la nebbia che fa sbagliare direzione.

Tracce consigliate: Tectonic, Send Me, Sink In.